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Caro Renzi, attento a non costruire troppe aspettative su Job Act e tasse

Occupazione e articolo 18, diritti e doveri, ripresa industriale e tassazione: sono le tre macro aree del Job Act di Matteo Renzi che, anche se non ancora ufficializzato, avviano il dibattito tra economisti ed esperti del settore. “Attenti a non gonfiare le aspettative”, dice a Formiche.net Mario Seminerio, editorialista, saggista, analista macroeconomico, oltre che animatore del blog Phastidio.net.

Renzi invita a dare garanzie a chi non le ha mai avute: è quello lo spirito del Job Act?
Premesso che i dettagli del suo piano non sono ancora conosciuti, quindi dobbiamo concedere almeno il beneficio del dubbio, credo che quell’invito sia una comunicazione fortemente simbolica. Dare diritti a chi non li ha avuti è certamente cosa buona e giusta, ma dare diritti di solito implica dei costi tangibili che mai sono a costo zero. Se poi in una situazione come quella italiana, in cui le risorse sono pressoché inesistenti e il peso fiscale e parafiscale sulle aziende non è ulteriormente tollerabile, ecco che concedere diritti a chi non li ha potrebbe significare toglierli a chi li ha.

Un errore?
Un percorso dovuto, però ribadisco di attendere l’articolato. Per adesso siamo agli slogan e all’enunciazione di principi. Credo dovremo essere attenti a non gonfiare le aspettative.

Il tema dell’articolo 18 come può rientrare in un piano occupazionale veramente nuovo?
Lo ritengo un non-problema, perché in un modo o nell’altro è stato disapplicato e disabilitato, come da tutte le ultime riforme in materia. Dovremmo smettere di impiccarci a questi retaggi ideologici del passato. Ancora una volta dimostriamo di essere un Paese con un collo permanentemente voltato all’indietro. Per cui se si ipotizza un contratto unico con tutele crescenti nel tempo, credo che anche il discorso sull’art. 18 venga superato. È già stato superato dalla riformulazione del governo Monti.

Sarà un terreno di futuro scontro?
Se si va in direzione di monetizzazione delle uscite in luogo del reintegro, a parte i casi discriminatori già previsti dalla normativa attuale, è utile che si spazzi via quell’ideologia. Sarebbe la pietra tombale di un Paese pietrificato.

Ad un certo punto però Renzi sembra si “travesta” da Landini e intenda tassare casa e rendite: un controsenso o una strategia diplomatica precisa?
In quest’ultimo caso rischierebbe di diventare una cambiale che poi sarebbe messa all’incasso. Con tutto il rispetto per Landini e la Fiom, non credo che la rappresentanza dei lavoratori italiani nasca e muoia con la Fiom. Penso che la tassazione sugli immobili stia raggiungendo e superando i livelli medi europei. Siamo partiti tardi, ma ci siamo rapidamente allineati. Ora andando anche oltre, prescindendo da incertezze attuali come la Tasi: vergognose e degne di un Paese del terzo mondo.

Dovremo quindi aspettarci una patrimoniale secca?
Sulla tassazione dei risparmi sarebbe utile che Renzi facesse una riflessione più approfondita, senza seguire pedissequamente le indicazioni di Davide Serra. Intanto è tassazione dei risparmi e non delle rendite, in secondo luogo c’è sempre questa idea nel Paese di aumentare la tassazione su un qualcosa per ridurla su qualcos’altro. In realtà i fatti hanno dimostrato che si aumenta la tassazione per colmare buchi che si sono formati altrove.

Una contraddizione, quindi?
Questa parte dell’argomentazione renziana, se non verrà corretta in seguito, mi sembra estremamente debole e vecchio stile. Per nulla dissimile da ciò che ascoltiamo da almeno un decennio. Di innovativo qui c’è poco o nulla.

Come abbattere la pressione fiscale e al contempo stimolare la ripresa senza sussidi?
Le risorse si formano con la crescita, il problema è che questo Paese sta mostrando gravissimi limiti nella ripresa. Siamo in ritardo a causa delle rigidità passate irrisolte. Ritenere che sia sufficiente aumentare la pressione fiscale oltre a ridistribuire per far ripartire qualcosa, credo sia come volersi staccare da terra tirandosi per le stringhe.

Quindi è corretto voler partire proprio dal mercato del lavoro?
Sì, ma tenendo presente che vi sono situazioni che non possono essere gestite oltre. Prima o poi avremo una contingenza abbastanza tragica sugli enti locali. È altamente probabile che alcuni finiranno in dissesto, per cui bisognerà decidere rapidamente se il dissesto significa accettare il default e ristrutturare il debito, oppure tentare di tenere in piedi situazioni ormai incancrenite.

In che modo? Con altri salvataggi?
Il rischio sarebbe un ulteriore aumento di tassazione con un impoverimento dei servizi offerti. Ma prima di parlare dei massimi sistemi credo saremo costretti a mettere mano ad una drammatica situazione di dissesto degli enti locali italiani.

Il “buco” del Comune di Roma (otto miliardi) è quasi pari a quello cipriota: la Capitale rischia di trovarsi la troika in casa?
La quasi totalità degli enti locali ha un debito con il sistema bancario, e non si può applicare un “metodo Cipro”: in quel caso la direzione di marcia sarebbe una, andare in default e svalutare il debito. Ma con un sistema bancario ancora così fragile e che faticosamente sta tentando di rimettersi in piedi, in caso di concatenazione di fallimenti di enti locali, sarebbe un ulteriore pugno in faccia per le banche.

twitter@FDepalo



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