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Come stroncare il circuito mediatico-giudiziario. I casi Faraone e De Girolamo

Alla domanda “che cos’è democrazia?”, il filosofo Hans Kelsen rispondeva lapidario: un sistema politico in cui i governati partecipano attivamente nella scelta dei governanti. Con ciò egli voleva distinguere i sistemi autenticamente liberali dalle dittature di destra o di sinistra che presuppongono il dominio autocratico dei governanti sui governati.

Ora, si chiederà: cosa c’entra questa considerazione con i fatti quotidiani che dominano la scena della nostra politica? A guardar bene, moltissimo.

Da anni il nostro Paese sta vivendo una situazione complessiva di crisi. La genericità della diagnosi non deve far perdere di vista che tale situazione di sofferenza riguarda due aspetti specifici della vita pubblica nazionale intrecciati tra loro, uno di tipo istituzionale e l’altro di tipo economico.

Il nostro sistema finanziario è entrato in fibrillazione a causa delle ripercussioni europea della grande depressione americana del 2008, e da allora l’Italia non riesce a risalire la china. La produttività è ferma e impoverita da una pressione fiscale che è immobilizzante. Il nostro sistema istituzionale, invece, è bloccato per la lotta permanente tra i poteri dello Stato, in specie tra quello giudiziario e quello esecutivo.

Non è difficile comprendere che il mercato interno ha bisogno della politica, ma la politica italiana non riesce ad agire perché è imperante un male radicale che falcia alla base ogni minima iniziativa democratica che cerca di nascere e di far rinascere tutti noi.

Si è detto molte volte. La guerra calda della Seconda Repubblica è stata quella tra Berlusconi e la Magistratura. Oggi invece abbiamo una guerra fredda dello stesso tipo, altrettanto incisiva e forse più insidiosa, che ha allargato la sua aria d’influenza interessando la democrazia nella sua interezza, sottoposta al giogo massacrante del circuito mediatico-giudiziario.

Tre esempi recenti spiegano il fenomeno a pieno. Il caso Cancellieri, vale a dire un ministro che è delegittimato completamente per le sue telefonate alla famiglia Ligresti. Il caso Faraone, nel quale un consigliere regionale è delegittimato per l’uso privato di 3500 euro. E, in ultimo, la vicenda del ministro De Girolamo, alla quale, senza aver commesso reato, viene chiesto di dimettersi per aver partecipato a riunioni informali sulle cariche Asl e di altro genere.

Sarò perentorio. Il nostro Paese deve liberare la democrazia dall’impasse lacerante che la opprime. Liberare la democrazia significa che il potere politico deve recuperare la forza che gli spetta e la superiorità che gli compete. E poiché i governanti sono espressione dei governati, e questi sono i cittadini, è indispensabile che i cittadini direttamente reclamino direttamente il diritto, e direi il dovere, di farsi rappresentare dai propri rispettivi politici.

Tutto è iniziato vent’anni fa con Mani Pulite. Non che al principio mancasse la necessità di bonificare la partitocrazia dalla corruzione; ma una cosa è condannare l’illegalità, altra cosa impedire la democrazia. Se l’Italia vuole ripartire, deve farlo da se stessa, dal diritto della gente di avere salvaguardati i propri interessi popolari davanti a qualsiasi forma di prevaricazione esterna.

Non importa se la De Girolamo abbia detto sì o ha detto no alle pressature, non importa neanche se Renzi deciderà di aprire la crisi di governo a causa dell’immobilismo del governo Letta. Men che meno è questione di una legge o un’altra. Se non è trovata una strada feconda per restaurare la politica al vertice delle istituzioni, a poco varranno gli strali continui degli uni contro gli altri e il cambio generazionale in corso.

Le larghe intese, in definitiva, sono fallite nel momento in cui la politica ha deciso di investire ancora una volta il potere giudiziario di un ruolo che non è suo, elevandolo sopra i governati. E giacché almeno i media sono opinione pubblica della società, sarebbe auspicabile che perlomeno gli organi di opinione si schierassero una buona volta dalla parte dei cittadini e del loro bisogno di essere sovrani di un Paese ancora democratico, e non come sempre dalla parte dei famigerati poteri forti.


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