Fino a qualche anno fa, le Forze Armate Cinesi o PLA (People Liberation Army, comprendente anche la Marina, l’Aeronautica e la 2^ Divisione di Artiglieria, che sovraintende alle forze missilistiche strategiche) erano concentrate sulla difesa del territorio nazionale e sulla sicurezza interna. Attualmente, conoscono un profondo processo di modernizzazione, volto a metterle in condizioni di contrastare minacce esterne.
LA MINACCIA AMERICANA
Le uniche possibili provengono dagli USA e dai loro alleati – Giappone, Corea del Sud, Australia, taluni Stati dell’ASEAN e anche India. La ristrutturazione mira a dotarsi della capacità di proiettare all’estero la potenza militare a sostegno della politica di Pechino.
LE RIVENDICAZIONI DI PECHINO
A parte Taiwan, la Cina ha numerose rivendicazioni territoriali, in particolare sugli arcipelaghi d’isolotti dei Mari Cinesi Meridionale e Orientale, che sembra posseggano importanti giacimenti sottomarini d’idrocarburi, e con l’India sulle pendici meridionali del Tibet, fino al Golfo del Bengala. Tali rivendicazioni sono profondamente radicate nell’immaginario collettivo cinese. Esso è ancora traumatizzato dal secolo delle umiliazioni, seguito alla “guerra dell’oppio” e dai Trattati ineguali, umilianti per la Cina. È ancorato ai ricordi del “Celeste Impero” circondato da una fascia di vassalli obbedienti e deferenti.
SPAZIO ALLE RIFORME
La nuova leadership cinese ha deciso di attuare profonde riforme: politica, economica e militare. Esse consistono rispettivamente nella ri-centralizzazione del potere; nello spostamento dell’asse di crescita del Paese dalle regioni oceaniche a quelle dell’interno (“grandi pianure” del Nord e “corridoio dello Yangtzé); e nella riforma militare della catena di comando delle forze armate, con il passaggio da sette regioni militari, dominate dall’esercito, a cinque zone interforze. Tale ristrutturazione corrisponde all’atteggiamento più assertivo di Pechino in politica estera. Quest’ultimo mira anche a rafforzare il controllo del Partito sulla società cinese, sfruttando le sue tendenze nazionaliste, per guadagnare legittimazione e popolarità. La presa del Partito sulla società era stato attenuata proprio a causa dei successi economici. Essi avevano provocato la crescita della classe media e la sua richiesta di maggiore rappresentanza politica. Avevano inoltre accresciuto le rivalità fra le regioni costiere e quelle dell’interno.
CONFLITTO INEVITABILE?
Taluni ritengono che nel sistema Asia-Pacifico si ripeta un processo simile a quello che aveva provocato la Prima Guerra Mondiale e che un conflitto fra USA e Cina sia prima o poi inevitabile. Alla fine del XIX secolo, una potenza crescente, la Germania, sfidava la principale potenza mondiale, la Gran Bretagna, inducendola a intervenire militarmente, per ridimensionarla, prima che fosse troppo tardi. Un fenomeno simile sarebbe in corso di ripetersi fra la Cina e gli USA. Non sono persuaso che la cosa sia inevitabile, anche perché la Cina non eguaglierà ancora per decenni la potenza navale degli USA. Non potrà mai essere in condizioni di proteggere le vie di comunicazione marittima, indispensabili per la sua stessa sopravvivenza. Con le riforme economiche di Deng Xiaoping – che hanno privilegiato le regioni costiere, l’apertura al mercato globalizzato e le esportazioni – la Cina, da continente pressoché autonomo, si è trasformata in un’isola del mondo globalizzato.
LA DIPENDENZA DELLA CINA
Dipende dalle vie marittime per importare materie prime e per esportare i suoi prodotti. Ma tali vie sono dominate dalle Marine degli USA e dei loro potenti alleati. Eccetto il Pakistan e la Corea del Nord, la Cina non ha alleati. Anzi, incute timore ai suoi vicini, che corrono a rifugiarsi sotto l’ombrello protettivo americano, ogni qualvolta Pechino alza i toni. La Cina ne era consapevole. La sua politica era ispirata al peaceful rise, trasformatosi in peaceful development, quando il termine rise era stato ritenuto troppo aggressivo.
POLITICA INTERNA
Allora, perché tale mutamento? A parer mio, per ragioni politiche interne. Il consolidamento del potere del nuovo gruppo dirigente quello di Xi Jinping e dei leader della “quinta generazione”, così come lo spostamento alle regioni dell’interno dell’asse dello di sviluppo economico, stanno producendo difficoltà al Partito. Inoltre, la Cina sa benissimo che la “finestra di opportunità” rappresentata dalla concentrazione dell’attenzione USA in Medio Oriente potrebbe chiudersi rapidamente in caso di accordo fra Washington e Teheran. Infine i dirigenti cinesi sono angosciati dall’incombente crisi demografica, provocata dai cinquant’anni della politica del “figlio unico”. Secondo l’ONU, con i trend demografici attuali, la Cina avrà nel 2100 “solo” 900 milioni di abitanti, mentre l’India supererà il miliardo e mezzo. Molti esperti cinesi temono che la Cina diventi vecchia prima di essere ricca e potente. Anche questo le impone un’accelerazione delle pressioni per cercare di ottenere quanto più possibile.
LA SUPERIORITÀ DEGLI USA
Le sue ambizioni sono però contrastate dal fatto che gli USA dispongono di una superiorità militare ineguagliabile ancora per decenni. Questo le impone una forte cautela. Gli USA sono ineguagliabili anche dal punto di vista economico. L’apporto statunitense al PIL mondiale sarà nel 2014 superiore a quello cinese. Il declino degli USA è stato affermato troppo sbrigativamente. In caso di aperto contrasto, l’economia cinese export-led è molto più vulnerabile di quella americana. La coesione sociale degli USA permette loro di affrontare una recessione. Così non è per la Cina, che conosce continue rivolte nelle province più povere. Solo il 14% del territorio cinese è arabile. La Cina poi dispone solamente del 6% dell’acqua dolce mondiale, per di più concentrata nelle sue regioni meridionali. Il mutamento della dieta – dai carboidrati alle proteine – di milioni di cinesi, obbliga la Cina ad aumentare le importazioni alimentari, oltre che ad affittare milioni di ettari di terreno coltivabile in Africa e in America Latina.
TEORIE IRREALISTICHE
Irrealistiche sono sempre più le teorie geopolitiche elaborate nell’Università di Pechino, secondo cui il nuovo ordine mondiale potrà essere solo sino-americano, con la divisione del globo in due emisferi, separati da un meridiano situato a un migliaio di km ad ovest delle Hawaii: gli USA dominerebbero quello orientale; la Cina quello occidentale. La risposta USA è stato il Pivot on Asia, del presidente Obama. Esso non ha un contenuto solo militare, ma anche uno economico. Quest’ultimo è attuato dalla TPP (TransPacific Partnership), zona di libero scambio estesa dalle Americhe all’Asia Orientale, che esclude la Cina. Washington intende chiaramente rimanere la potenza dominante anche nel Pacifico. Che gli USA lo possano essere dipende non solo dall’economia, ma anche dalla loro capacità d’attrazione e dai loro rapporti di potenza militare con la Cina.