Gli scontri fra manifestanti e polizia si sono radicalizzati e si sono estesi da Kiev a molte altre città ucraine, specie in quelle occidentali, come Leopoli, più filoeuropee o, almeno, più antirusse. Le dimostrazioni si sono fatte più violente. Stanno sempre più trasformandosi in rivolte contro il filorusso presidente Viktor Yanukovic. Gran parte dei dimostranti indossa il casco. Aumenta il numero delle barricate e delle occupazioni di edifici pubblici. La “piazza” sta passando nelle mani della destra ultranazionalista, contraria a qualsiasi contatto e compromesso con il regime. Non è un partito unitario. Il partito Svoboda ne controlla solo una piccola parte. È costituita da un insieme di vari gruppi, formati soprattutto da giovani e dalle tifoserie di calcio. La loro mobilitazione è resa possibile dai social networks. Pretende le immediate dimissioni del presidente, nuove elezioni e l’arresto di Yanukovich, che andrebbe processato non solo per le attuali violenze contro i dimostranti (da 3 a 5 morti e un migliaio di feriti), ma anche per i suoi trascorsi, di protagonista di numerosi furti e rapine.
OPPOSIZIONE DIVISA
L’opposizione è però divisa. Il partito della Patria, erede di Yulia Timoshenko, la bionda leader della “Rivoluzione Arancione” del novembre 2004, è sostenuto dagli USA. Il suo capo è un tecnocrate, Arseny Yatseniuk. Il possente ex-pugile Vitali Klitschko è presidente dell’Alleanza Democratica per le Riforme (UTAR). È appoggiato dalla tedesca Fondazione Adenauer, finanziata dalla CDU. Tali due partiti “moderati” hanno accettato di negoziare con Yanukovich. Il presidente deve sentirsi alquanto debole: perché gruppi di poliziotti hanno simpatizzato con i dimostranti e membri del suo partito hanno dato le dimissioni, passando all’opposizione. Ha offerto al Partito della Patria e a UTAR le cariche di presidente e di vicepresidente del consiglio dei ministri ed ha promesso la modifica delle leggi anti-rivolta, la cui emanazione è stata causa della ripresa delle manifestazioni il 17 gennaio, e il ripristino di talune norme della costituzione del 2005, che egli stesso aveva abolito, dopo essere stato eletto nel 2010. Nulla di fatto. L’opposizione moderata ha però rifiutato. Vuole le immediate dimissioni del presidente, elezioni entro il 2014 e la riapertura del negoziato di associazione all’Unione Europea. Essa comporterebbe la denuncia dell’accordo fra Yanukovich e Putin del 17 dicembre scorso, che accresce la già grande dipendenza dell’Ucraina dalla Russia.
PIAZZA: L’INCOGNITA DEGLI SCONTRI
Gli scontri fra manifestanti e polizia sono in una situazione di stallo. La loro conclusione è imprevedibile. Nonostante il loro numero e la loro crescente militarizzazione, i dimostranti, a differenza di quelli della Rivoluzione Arancione del 2004, mancano di un leader carismatico, come fu allora la Timoshenko. Inoltre, non è chiaro quali siano gli obiettivi delle proteste. Per taluni, è l’associazione all’UE, considerata una garanzia dell’indipendenza dell’Ucraina dalla Russia. Per altri, è solo la cacciata di Yanukovich. Data la dipendenza economica dell’Ucraina dalla Russia, solo quest’ultimo mi sembra realistico. L’Occidente è, come al solito, diviso e inerte. Appoggia i dimostranti con varie tonalità, ma sempre con molta cautela i dimostranti. Le misure “punitive che ha preso l’UE sono addirittura ridicole. Ha ridotto la durata del prossimo Summit con Putin e ha annullato il pranzo di gala previsto per la circostanza (sic!). Gli USA hanno tolto il visto d’entrata negli Stati Uniti a taluni responsabili della repressione delle proteste. I partecipanti al World Economic Forum di Davos hanno osservato un minuto di silenzio per le persone uccise a Kiev dalla polizia, prima che prendesse la parola il premier ucraino.
IL RUOLO DELLA RUSSIA
Putin sostiene il governo ucraino. Gli ha concesso, negli accordi presi con Yanukovich il 17 dicembre, un prestito di 15 miliardi di dollari, una riduzione di un terzo del prezzo del gas e l’acquisto di titoli di Stato per 3 miliardi di dollari. Per ora, il presidente russo è preoccupato soprattutto del successo dei Giochi Invernali di Sochi – che si svolgeranno dal 7 al 23 febbraio. Sull’Ucraina non ha usato toni duri e minacciosi. Si è limitato a criticare le interferenze dell’Occidente nella sovranità del paese, con il sostegno dato ai dimostranti. Ma ha il coltello dalla parte del manico e lo sa. L’Ucraina dipende economicamente dalla Russia, non solo per il gas, ma anche per il commercio estero. Quando Kiev aveva iniziato i negoziati con l’UE, Mosca aveva deciso ritorsioni contro le importazioni dall’Ucraina, compromettendone la già difficile situazione economica.
LE MOSSE DELL’UNIONE EUROPEA
Dal canto suo, l’UE, tanto prodiga di affermazioni di solidarietà con i dimostranti e d’ingiunzioni al governo di Kiev di non usare la mano pesante, non ha nessuna intenzione di mettere le mani al portafoglio. Lady Ashton – l’improbabile Alto Rappresentante europeo per la politica estera – ha visto rifiutata la sua offerta di mediazione. Il premier ucraino Nikolai Azapov ha affermato beffardamente che l’ineffabile Lady non può essere arbitro, essendo una delle parti in causa. Ha aggiunto che l’Ucraina potrebbe eventualmente accettare la mediazione della neutrale Svizzera. Molti Stati europei sono estremamente cauti perché temono di guastare i loro rapporti con Mosca; Washington dal canto suo è preoccupata di non guatare la collaborazione politica russa, tanto necessaria al “povero” Obama dopo le “nasate” prese in Medio Oriente.
Insomma, gli ucraini dovranno cavarsela da soli, senza sperare in concreti aiuti esterni.
UNA QUESTIONE GEOPOLITICA
Il principale problema che pone la rivolta in Ucraina, paese diviso in percentuali quasi identiche fra filoccidentali-indipendentisti e filorussi, è soprattutto geopolitico. Riguarda gli assetti a medio-lungo termine dell’intera Europa, inclusa la sua appendice siberiana. Gli europei hanno trascurato tale aspetto. Ignorano gli obiettivi che, con tanta determinazione e abilità, sta perseguendo Putin con il progetto di Unione Eurasiatica. La massa degli europei occidentali ha ritenuto e ritiene che la Russia sia inevitabilmente destinata a divenire sempre più europea, oppure che tale progetto sia semplicemente un tentativo di ricostituire l’impero perduto. Data la presunta inevitabilità dell’europeizzazione, l’UE non si è preoccupata di rinnovare l’Accordo di Partenariato e di Cooperazione con la Russia del 1994, scaduto nel 2007. Anzi, con la Eastern Partnership, guidata dalla Polonia e dalla Svezia, ha cercato di promuovere l’integrazione in Europa di sei paesi che Mosca considera parte del suo “Estero Vicino” (Bielorussi, Moldavia , Ucraina e le tre repubbliche caucasiche). Tale iniziativa europea ha provocato a Mosca sorrisi per il suo velleitarismo, ma anche preoccupazioni di un accerchiamento. Inoltre, Mosca pretende di essere trattata alla pari dall’Europa, la quale invece non terrebbe nel dovuto conto gli interessi e la sensibilità russi.
LA SFIDA DI PUTIN ALL’OCCIDENTE
L’assunto dell’inevitabilità dell’europeizzazione della Russia è sbagliato. Mosca non ritiene l’UE né un modello né un partner. Anzi, Putin si considera – o cerca di farsi considerare – come il campione dei valori europei tradizionali, critico del permissivismo dominante in Occidente (gay, ecc.). Lo sfida anche sotto dal punto di vista etico- ideologico, come si è visto nel suo incontro con Papa Francesco del novembre scorso. E’ questo un tema più volte sottolineato da Dmitri Trenin, uno dei più lucidi commentatori della politica del Cremlino. La visione di Putin sul futuro della “Grande Europa”, dall’Atlantico al Pacifico, è basata sulla sua divisione in due “spazi di civiltà”. Da un lato l’UE; dall’altro l’Unione Eurasiatica, incentrata sulla Russia, ma comprendente le tre repubbliche sui suoi confini occidentali e quelle caucasiche e centrasiatiche. Secondo Putin quello dell’Unione Eurasiatica non sarebbe un progetto imperiale. La Russia sarebbe stata “vaccinata” al riguardo dalla storia dell’URSS e dal costo che aveva dovuto sobbarcarsi per mantenere l’impero interno ed esterno sovietico. La partecipazione dell’Ucraina all’Unione Eurasiatica sarebbe invece essenziale, non solo per ragioni geostrategiche e demografiche, ma anche storiche. Senza l’Ucraina la percentuale di popolazione slava nell’Unione Eurasiatica sarebbe troppo ridotta per garantire l’unità di tale “spazio di civiltà”, la cui esistenza era già stata intuita da Samuel Huntington. Inoltre, sotto il profilo storico, la Kievan Russia è stato il nucleo originario della Russia, prima dell’invasione mongola ne facesse trasferire il baricentro a Mosca.
IL RUOLO CHIAVE DELL’UCRAINA
Per questi motivi, la sorte dell’Ucraina è tanto importante per Putin. Quali che siano gli esiti della rivolta, la Russia si opporrà duramente all’associazione dell’Ucraina all’UE. Quest’ultima poi non ha né le risorse né la determinazione per sostenerla. Ma anche se ce le avesse, si scontrerebbe con Mosca. Non è infine ipotizzabile la divisione del paese fra le regioni occidentali, europeizzanti, e quelle orientali e meridionali, dominate dal partito pro-russo. Nelle regioni centrali le due parti si sovrappongono. Scoppierebbe una guerra civile. Quasi certamente Mosca interverrebbe anche militarmente, come fece in Georgia nel 2008. Insomma, la questione ucraina potrebbe influenzare profondamente la futura geopolitica europea, i rapporti fra l’UE e la Russia e forse accrescere le divisioni già esistenti fra i vari paesi dell’UE nei riguardi dei rispettivi rapporti con Mosca.