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Snam, Terna e Alitalia, perché i capitali esteri possono nuocere alla sicurezza nazionale. Parla Stucchi (Copasir)

Ong

Il processo di privatizzazioni di Cdp Reti, il veicolo di Cassa depositi e Prestiti a cui è stato ceduto il 15% di Snam e a cui dovrà essere conferito il 29,9% di Terna è entrato nel vivo. A fine gennaio è scaduto il termine per la presentazione delle manifestazioni di interesse, che sarebbero pervenute da qualche fondo sovrano dei Paesi del Golfo Persico, da compagnie australiane e canadesi e dal colosso delle reti di Pechino, State Grid of China.

L’operazione consentirà, nelle intenzioni del governo, di incassare 7 miliardi di euro. Ma la possibilità che il controllo o la partecipazione in infrastrutture strategiche come le reti energetiche possano avere come soci forti compagnie o governi stranieri preoccupa il senatore leghista Giacomo Stucchi (nella foto), presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.

In una conversazione con Formiche.net, il numero uno del Copasir spiega perché fare cassa con Cdp Reti potrebbe non coincidere con l’interesse nazionale dell’Italia. E sull’affare Alitalia-Etihad dice…

Presidente, come valuta l’intenzione del governo di aprire all’entrata di società straniere in Cdp Reti?
Ogni volta che si parla di cedere o condividere con soci non italiani realtà di questo tipo, ovvero infrastrutture strategiche e delicate come sono le reti energetiche – ma non solo -, bisogna andare coi piedi di piombo, sia che meditino di entrare nel capitale con quote di minoranza o di controllo. È importante che i singoli dossier vengano valutati con estrema attenzione e che ne siano analizzati non solo i vantaggi, ma anche le ripercussioni.

Quali crede siano le scelte che opererà il governo? E come valuta il suo operato sinora su questa vicenda?
La tendenza mi pare sia quella di fare cassa quanto più possibile. Senza dubbio è importante attrarre investimenti stranieri, ma ciò che porta più denaro – almeno in questi settori – può non essere la cosa migliore per il Paese. Bisogna evitare che scelte oggi felici sul piano finanziario, possano essere devastanti negli anni a venire, diventando controproducenti.

Di quali strumenti di pressione nei confronti di Palazzo Chigi intende avvalersi il Comitato che lei presiede?
In attesa di conoscere gli orientamenti del Governo, auspico che il Comitato venga informato in modo puntuale e completo. Solo così potremo offrire un contributo alla salvaguardia del bene collettivo. Proveremo ad avere notizie già nelle prossime settimane quando ascolteremo l’Autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica, il senatore Marco Minniti. Spero che comunque Palazzo Chigi, come nel caso Telecom, tenga quantomeno in considerazione le nostre preoccupazioni, peraltro evidenziate in molti rapporti dell’intelligence, che fa un buon lavoro di informazione. E soprattuto auspico che chi di dovere sappia analizzare le tante comunicazioni sull’argomento dette – e non solo scritte – dai Servizi.

Tra i potenziali investitori, quali sono i partner più auspicabili secondo lei?
Sicuramente con australiani e canadesi c’è maggiore affinità culturale rispetto al mondo arabo o alla Cina. Ma il vero discrimine, a mio parere, è il tipo di investimento che si vuole operare. Se i nuovi partner sono interessati a un investimento puramente finanziario o se vogliono avere voce in capitolo nelle scelte gestionali e quindi orientare anche le politiche del nostro Paese in tema di approvvigionamento, autonomia e sicurezza energetica. In questo senso credo che solo le offerte mediorientali corrispondano al primo criterio. E dico di più: questi parametri andrebbero adottati anche in altre vicende che occupano le cronache di questi giorni, come l’affare tra Alitalia ed Etihad.

Che relazione c’è tra la sicurezza delle reti e il trasporto aereo?
Apparentemente nessuna, con i problemi analizzati fino ad ora. Eppure, anche in questo caso, non si può prescindere da una valutazione di interesse generale nel lungo periodo. È vero che la società degli Emirati potrebbe sembrare una soluzione ottimale, ma non vorrei che fosse l’ennesimo “cavallo di Troia” per entrare nel mercato europeo e poi abbandonare l’Italia al suo destino. Aspetti sui quali il governo dovrà chiedere le opportune garanzie.


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