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2 febbraio 1703, il Grande terremoto che distrusse L’Aquila

«La città dell’Aquila fu, non è; le case sono unite in mucchi di pietra, li remasti edifici non caduti stanno cadenti.
Non so altro che posso dire di più per accreditare una città rovinata»
(Marco Garofalo, Marchese della Rocca, Lettera al Viceré del Regno di Napoli)

Era il giorno della Candelora intorno alle ore 12. La città fu sorpresa durante le funzioni liturgiche e furono oltre 6.000 le vittime. 800 fedeli morirono dentro la Chiesa di San Domenico. Della Chiesa di San Bernardino rimase in piedi solo il coro.

Il terremoto dell’Aquila del 1703, conosciuto come il Grande Terremoto, è stato un insieme di eventi sismici verificatisi nell’alta Valle dell’Aterno e nell’intera parte settentrionale della Provincia dell’Aquila durante l’anno 1703.

La scossa distruttiva si verificò il 2 febbraio del 1703, giorno della Candelora, e si stima che abbia avuto una magnitudo momento di 6,7 causando devastazioni del X grado della Scala Mercalli; L’Aquila venne praticamente rasa al suolo, con danni gravissimi per quel che riguarda il patrimonio artistico e architettonico del capoluogo abruzzese, e le vittime furono oltre 6.000.

Inizio della sequenza sismica

Già sul finire del Seicento alcune violente scosse cominciarono a tormentare L’Aquila e ad osteggiare la ripresa economica del capoluogo che veniva da due secoli di dominazione spagnola e da una terribile epidemia di peste; in particolare si ricorda il terremoto dell’aprile 1646, raccontato nel Trattato di Filippo da Secinara e di intensità stimata nel VII grado della Scala Mercalli, e quello del giugno 1672, entrambi avvenuti nell’area tra Amatrice e Montereale.

Lo sciame sismico in questione cominciò, con ogni probabilità, all’inizio del 1702 con eventi strumentali; il primo grande evento si verificò il 14 ottobre 1702 in un’area al confine tra il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa, vicino l’abitato di Norcia, ed ebbe una magnitudo momento di 5,2. L’evento venne avvertito in tutto il centro Italia, Roma compresa, come testimoniato dalle numerosissime corrispondenze con cui si riportano anche i danni subiti dalle città prossime all’epicentro. Un altro evento, della stessa magnitudo e con epicentro simile, avvenne il 14 novembre 1702.

La scossa del 14 gennaio

Dopo alcune settimane di quiete, il 14 gennaio 1703 venne registrato un nuovo violentissimo terremoto nella zona tra Amatrice e Montereale, all’estremità settentrionale della provincia aquilana. Il sisma, che si stima abbia avuto una magnitudo momento di 6,8 causò devastazioni del XI grado della Scala Mercalli e fu, per intensità, il maggiore tra gli eventi della sequenza sismica. Il sisma devastò Montereale, provocando 800 morti su un totale di circa un migliaio di abitanti, e causò gravissimi crolli e morti anche ad Accumoli, Amatrice, Antrodoco, Borbona, Cascia, Cittareale, Leonessa e Norcia. All’Aquila il terremoto causò gravi lesioni nelle case e crolli nelle chiese (distrutte le facciate delle chiese di San Pietro di Sassa e San Quinzano) ma non vi furono morti. Il 15 gennaio venne organizzata una processione di penitenza.

Due giorni dopo, il 16 gennaio, un’altra forte scossa colpì l’Alto Aterno causando nuovi crolli soprattutto all’Aquila dove caddero le torri campanarie delle chiese di Santa Maria di Roio e di San Pietro a Coppito, già pesantemente lesionate dall’evento precedente.

La scossa del 2 febbraio Il 2 febbraio del 1703, giorno della festività della Purificazione di Maria e del connesso rito della Candelora, l’ennesimo terremoto si verificò a nord della città dell’Aquila distruggendo quasi completamente il capoluogo abruzzese e causando forti danni in tutta la regione. Il sisma, che ebbe una magnitudo momento di 6,7 ed un’intensità del X grado della Scala Mercalli, si verificò poco prima di mezzogiorno e pertanto sorprese i fedeli radunati nelle chiese per le celebrazioni liturgiche. Alcune centinaia di persone si trovavano in quel momento nella chiesa di San Domenico dove si concedeva una comunione generale quando le capriate del tetto cedettero seppellendo i presenti. Bisogna considerare che la diocesi dell’Aquila era in quel momento priva di un vescovo poiché la carica di Ignazio Della Zerda, morto nel 1702, era stato affidata temporaneamente ad un vicario; mancò dunque una guida (come fu quella di Amico Agnifili nel terremoto del 1461) che evitasse l’assembramento di una gran quantità di gente negli edifici ecclesiastici.

Altri crolli gravissimi si ebbero nella basilica di San Bernardino, ove rimasero in piedi solo il coro, la facciata e le mura laterali, e nella cattedrale di San Massimo, oltre che nelle chiese di San Filippo, San Francesco e Sant’Agostino. Alla scossa principale, per ventidue ore ne seguirono altre durante le quali la terra esalava pessimi odori e l’acqua dei pozzi cresceva e gorgogliava a causa dei gas. In totale L’Aquila contò circa 2.500 morti, 800 nella sola chiesa di San Domenico, cioè circa un terzo della popolazione ma il terremoto fece vittime anche nelle città vicine per un bilancio totale di oltre 6.000 decessi.

Gestione dell’emergenza

Pochi giorni dopo la tragedia venne inviato da Napoli il Marchese della Rocca, Marco Garofalo, che venne investito dei poteri di commissario straordinario; il vicario organizzò i soccorsi e tenne sotto controllo l’ordine pubblico, riuscendo anche a far desistere i sopravvissuti dall’idea di abbandonare definitivamente L’Aquila. Vennero emanate due ordinanze, una il 12 febbraio ed una il 18, che obbligavano la cittadinanza al coprifuoco e all’acquisizione di una specifica licenza per l’estrazione dei cadaveri e degli oggetti personali negli edifici danneggiati.

Nel novembre del 1703 il Marchese riuscì a far approvare l’esenzione fiscale per i cittadini colpiti per un tempo proporzionale ai danni subiti; per L’Aquila in particolare il pagamento delle tasse venne sospeso per dieci anni, un provvedimento che fu giudicato vitale per far ripartire l’economia e dare slancio all’opera di ricostruzione. Parallelamente venne però istituita una tassa straordinaria per permettere la realizzazione di 92 baracche per gli sfollati nella Piazza del Duomo, in una delle quali trovò posto anche il Consiglio Comunale.

Ricostruzione

In breve tempo sul terreno occupato in precedenza da dimore crollate sorsero i palazzi delle nuove famiglie aquilane, tra cui si ricordano i Romanelli, i Bonanni, i Pica e gli Oliva[12] mentre molte tra le principale chiese del capoluogo vennero pesantemente modificate o riedificate secondo il nuovo gusto barocco.

Poiché i primi interventi riguardarono le abitazioni civili e le infrastrutture (come ad esempio l’acquedotto), per quasi due anni le principali architetture danneggiate rimasero ricoperte di macerie; il primo intervento di ricostruzione del patrimonio architettonico cittadino, il monastero di Sant’Agostino, venne iniziato solo nel 1705. Nel 1707 venne realizzato il progetto di restauro dell’adiacente chiesa ad opera di giovan Battista Contini, allievo del Bernini, che prevedeva una nuova pianta ellittica e la rotazione del prospetto principale su Piazza San Marco. La chiesa venne completata nel 1927, mentre i lavori sul monastero vennero interrotti a più riprese e portati a termine in maniera definitiva solo nel XIX secolo con la realizzazione del Palazzo della Prefettura in stile neoclassico. Anche la chiesa di Santa Caterina venne ricostruita a pianta ellittica e facciata a cuneo stondato, mentre nelle chiese di San Marciano e Santa Maria Paganica si perpetuò la rotazione della pianta con la facciata principale non più rivolta sul lato lungo dell’edificio, ma su quello corto.

Più complesso il discorso per quanto riguarda la cattedrale di San Massimo la cui ricostruzione, iniziata nel 1708 ad opera di Sebastiano Cipriani, risparmiò solo il perimetro murario su Via Roio; i lavori furono molto lunghi e la chiesa venne riaperta, seppur priva di cupola e facciata, solamente nel 1780. Anche la basilica di San Bernardino venne completamente ricostruita ad opera del Cipriani e del Contini e nel 1724 Ferdinando Mosca vi realizzò uno splendido soffitto in legno. La basilica di Santa Maria di Collemaggio venne impreziosita da numerose aggiunte barocche che successivamente sono state eliminate in seguito al restauro del 1972.

Legata alle vicende del terremoto è anche la chiesa delle Anime Sante, la cui costruzione fu iniziata nel 1713 quando si decise di erigere una nuova sede per la Confraternita del Suffragio; la struttura, affidata all’architetto Carlo Buratti, fu completata per apporti successivi: nel 1770 iniziò la realizzazione della facciata concava ad opera di Gianfrancesco Leomporri mentre la cupola del Valadier venne aggiunta solo nel 1805.

Conseguenze sociali

Nel 1712, alla vigilia del termine del periodo di esenzione fiscale, venne istituito un censimento per valutare il pagamento da versare alla Corona. Nel capoluogo risultarono 2.684 abitanti divisi in 670 famiglie, di cui ben 149 erano forestieri attratte dalle possibilità offerta dalla ricostruzione: di queste le più numerose erano quelle di origine milanese che già da qualche secolo avevano avviato una immigrazione verso l’Abruzzo Ultra e l’aquilano in particolare, mentre le altre provenivano per buona parte dal contado, il che attivò un processo di ruralizzazione cittadina. Nel ventennio successivo, fino al 1732, arrivarono all’Aquila 160 nuovi fuochi, famiglie povere del contado o ricchi proprietari terrieri interessati ad accrescere la propria posizione sociale, che contribuirono al ripopolamento della città.

La tragedia incise comunque profondamente la comunità, tanto da spingere a modificare gli storici colori della città (il bianco e il rosso) nel nero e nel verde attuali, rispettivamente uno a ricordo del lutto e l’altro in segno di speranza. Venne inoltre introdotto il culto di Sant’Emidio da Ascoli Piceno, considerando il protettore contro i terremoti. Anche le principali festività subiscono il ricordo del terremoto tanto che il Carnevale aquilano non antecede mai il 2 febbraio, giorno della Candelora, e può essere considerato il più corto del mondo.

di Roberta Galeotti


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