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Kerry sul fallimento della Casa Bianca in Siria

Chissà se Lindsey Graham e John McCain (senatori americani rispettivamente di Carolina del Sud e Arizona) saranno rimasti stupiti dalle parole del Segretario di Stato John Kerry, oppure si trattava di “cose” che erano già nell’aria?

Fatto sta che i due erano tra i quindici senatori che Kerry ha incontrato in una riunione off-the-record, per chiedere un feedback sui colloqui “Ginevra 2” per la pace in Siria. E fatto sta che i due non devono aver resistito al piatto ghiotto servito dal Segretario di Stato, così appena usciti dall’incontro hanno spifferato gran parte dei contenuti a Daily Beast, Washington Post e Bloomberg. D’altronde l’argomento era di sicuro appeal politico: per due repubblicani, conservatori, poter criticare Obama è linfa vitale; poterlo fare attraverso le parole di un esponente di spicco della propria Amministrazione, diventa quasi irresistibile.

Sì, perché a detta dei due, il Segretario di Stato Kerry, durante quell’incontro avrebbe ammesso alla delegazione del Congresso di aver perso fiducia nelle politiche della Casa Bianca sulla Siria. E hanno aggiunto, che Kerry avrebbe previsto la necessità di un cambio di strategia. (Boom!).

Prima del «nulla di fatto» ai colloqui di pace (definizione dello stesso capo dei negoziatori Brahimi), il piano americano viaggiava su due binari paralleli: uno era rappresentato dallo smantellamento dell’arsenale chimico (da subito considerata dall’Amministrazione una grossa vittoria, ma che aveva incontrato molto scetticismo, e non solo per come erano andate le cose – con l’indispensabile mediazione della Russia che poteva sembrare una sconfitta diplomatica per gli americani – ma per i termini troppo ampi dell’accordo). L’altro binario, parallelo si diceva, era quello della Conferenza di pace, tavolo di confronto fra le forze in campo nel conflitto e le principali potenze internazionali. Gli sforzi di Kerry erano stati soddisfatti dalla presenza delle opposizioni – in realtà rappresentate soltanto da una parte, con l’ovvia assenza dell’attivissima e numerosissima componente al-Qaeda linked. Ma le dichiarazioni del ministro degli Esteri siriano Moallem («Siete traditori al soldo degli israeliani») e la volontà dei ribelli presenti non potevano trovare, almeno al primo round, punti di incontro.

Quello che però poteva essere risolto, era la questione degli aiuti umanitari e del blocco dell’approvvigionamento di acqua e cibo imposto dal governo siriano: la strategia del starve or surrender, cioè “morite di fame o arrendetevi”, applicata dall’esercito interessa alcune aree (di fatto assediate) in cui vivono intorno alle 200mila persone. Ma nemmeno su queste necessità basilare si è trovata una soluzione: e per di più non si è deciso definitivamente nemmeno la data del secondo incontro – Brahimi ha proposto alla parti di rivedersi a stretto giro, già il 10 febbraio, ma ancora non ci sono risposte ufficiali.

Quasi contemporaneamente all’annuncio dello stallo e del rinvio dell’incontro iniziato il 25 gennaio, si è diffusa la notizia che bloccava anche l’altro binario sua una via morta. Le armi chimiche fin qui consegnate da Assad rappresenterebbero soltanto il 4 per cento del totale. Addirittura sono girate informazioni – non confermate – secondo cui il presidente avrebbe occultato una parte di materiale. Ieri la Russia ha garantito che sebbene le attuali deadline delle operazioni siano già saltate, la Siria accelererà i passaggi futuri ed entro marzo consegnerà tutti i propri armamenti chimici. Si vedrà, ma i continui ritardi sembrano un segnale, se non altro, di una mancanza di fiducia.

Lo stallo della situazione, a cui fanno seguito le continue escalation di violenza (i bombardamenti degli elicotteri dell’esercito con le barrel bomb stanno diventando sempre più fitti, producendo atrocità non seconde a quelle delle armi chimiche), richiederebbe effettivamente un cambio di strategia – che sarebbe una conferma, nemmeno troppo indiretta, di una sorta di fallimento nella gestione della situazione.

A questo punto però, l’unico cambiamento possibile, sarebbe un ritorno al sostegno aperto ai ribelli, anche sul fronte del fornire armamenti. Circostanza che sicuramente potrebbe essere una spinta (non-tanto-)diplomatica per costringere Assad a negoziare sul serio.  Ma la circostanza sarebbe molto delicata: i combattenti sul campo, sembrano ormai un magma indistinguibile a causa delle invasive e potenti infiltrazioni di al-Qaeda.

Intanto su un fronte diverso, ma non troppo lontano, si materializza una non troppo nuova problematica: la gestione della situazione in Pakistan, con il governo di Islamabad che ha espressamente chiesto a Washington di ridurre gli attacchi con i droni, per favorire lo svolgimento dei negoziati con i talebani. Di nuovo, un’altra situazione in cui le politiche estere della Casa Bianca sembrano diventare sempre più logore.

 

 

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