Pochi giorni fa il responsabile dell’Economia Fabrizio Saccomanni aveva messo in rilievo il ruolo prezioso della Banca europea per gli investimenti per promuovere e incoraggiare lo sviluppo delle realtà imprenditoriali più moderne, dinamiche, proiettate nei mercato globale. Ieri nella stessa cornice di Via XX Settembre il capo del Tesoro ha rimarcato il valore di un organismo che appare come il contraltare nazionale della BEI: il Fondo Italiano di Investimento. Lo ha fatto illustrando i risultati realizzati in 3 anni di attività dall’istituto finanziario pubblico per favorire il tessuto delle aziende piccole e medie.
La natura e gli obiettivi del Fondo
Il Fondo è stato costituito nel marzo 2010 con il compito di effettuare investimenti nel capitale di rischio di PMI attive nei settori dell’industria, commercio e servizi allo scopo di supportare i loro progetti di crescita. Fornisce assistenza per le operazioni di replacement, l’ingresso nell’azionariato aziendale a seguito del ritiro un socio, e offre sostegno alle acquisizioni di società da parte di un gruppo di manager. Le aziende destinatarie dei suoi prestiti, con tassi di interesse ridotti e una scadenza di lungo termine, devono avere un fatturato compreso tra 10 e 250 milioni di euro. E la partecipazione del Fondo non può superare il 50 per cento del loro azionariato.
L’organismo finanziario è partecipato, con quote pro-capite del 12,5 per cento, dal Ministero dell’Economia, da Cassa depositi e prestiti il cui presidente Franco Bassanini e l’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini erano presenti alla conferenza stampa a riprova di una sinergia profonda, dall’Associazione bancaria italiana, da Confindustria, da Intesa San Paolo, Unicredit e Mps, dalle banche popolari. Gruppi che hanno stanziato per il Fondo 1,2 miliardi di euro.
Risulta evidente, spiega il capo del Tesoro, il valore di uno strumento utile per far affluire risorse al tessuto imprenditoriale in forma differente rispetto al tradizionale canale creditizio: “L’obiettivo è accrescere la dimensione, la capitalizzazione e la proiezione internazionale della rete manifatturiera italiana, per compensare all’estero la riduzione della domanda interna”. Un organismo che, come avviene da tempo per Cassa depositi e prestiti impegnata con il Fondo strategico sul fronte delle imprese più grandi, può amplificare e moltiplicare le risorse erogate in direzione produttiva.
Un bilancio lusinghiero
È il presidente del Fondo Innocenzo Cipolletta a delinearne le caratteristiche alla luce dei risultati raggiunti: “Un istituto pubblico che partecipa nel capitale delle aziende e nei fondi di private equity – attività finanziaria con cui un investitore istituzionale rileva quote di una compagnia – che opera con strumenti di mercato per un ritorno economico e rendimenti ragionevoli in una logica di lungo periodo. E che permette alle aziende di conseguire i propri obiettivi in una fase di crisi, se ha voglia e prospettive per crescere”.
Fino ad oggi l’organismo ha impegnato 785 milioni sul complesso di 1,2 miliardi di euro. Gli investimenti diretti nel capitale delle aziende ammontano a 37, per una cifra di 380 milioni – 4 nel Mezzogiorno e il resto nel Centro-Nord – Quelli indiretti sono 21 e hanno promosso altre 80 attività imprenditoriali. A beneficiarne sono state unità produttive con 26mila addetti e un fatturato di oltre 4 miliardi. È aumentato il numero dei lavoratori, il fatturato, le esportazioni.
Emerge una netta inversione di rotta rispetto alla tendenza di molte imprese a rinchiudersi in se stesse per poi venire acquisite da gruppi stranieri. L’intenzione dei responsabili dell’istituto è allargare la sfera di intervento ai fondi di venture capital, che raccolgono capitale di rischio per finanziare l’avvio o la crescita di un’attività con elevato potenziale di sviluppo. Perché i nostri brillanti accademici e laureati, osserva l’ex direttore generale di Confindustria, non devono andare nella Silicon Valley per ricercare i capitali necessari alle proprie iniziative.
Le ricadute nel tessuto economico
Complessivamente, ricorda l’amministratore delegato del Fondo Gabriele Cappellini, le risorse immesse nella realtà produttiva italiana grazie all’organismo finanziario pubblico raggiungono i 2 miliardi e 185 milioni di euro. L’investimento medio diretto oscilla tra 9,5 e 10 milioni, per una quota di capitale sociale che si aggira attorno al 24 per cento. Comparto privilegiato dagli investimenti è l’industria – macchine, utensili, impianti – mentre il turismo richiede sforzi rilevanti. Gli interventi del Fondo si sono orientati su imprese con un fatturato medio di 40 milioni che è cresciuto a 55 milioni, e con 250 lavoratori dipendenti aumentati fino a 330. Lusinghieri i riscontri nelle esportazioni, che coinvolgono l’85 per cento delle realtà produttive: la loro incidenza nei ricavi aziendali è passata dal 43 al 53 per cento.
Negli investimenti indiretti, i 20 milioni utilizzati hanno attratto risorse per 400 milioni provenienti dai fondi europei ed esteri a partire dalla BEI. L’organismo finanziario pubblico ha poi operato una ricognizione in tutta Italia dei centri di ricerca potenziali incubatori per l’intervento del venture capital, affinché l’idea concepita in laboratorio assurga a dignità di impresa. Grazie a uno stanziamento di 65 milioni, sono stati creati tre “acceleratori di impresa” nei comparti delle tecnologie e telecomunicazioni informatiche, nella medicina di avanguardia e nella robotica. La speranza è allargare la strategia di investimento a settori nevralgici come l’agroalimentare, in una logica di moderna politica industriale.