Per me, la “questione generazionale”, dal punto di vista della formazione delle élites politiche, non ha mai avuto alcun senso, perché non è quello il nodo da sciogliere: che ce ne faremmo di un D’Alema dai baffi ancora neri, di un Fassino con vent’anni di meno (e venti chili di più, magari), di un Bersani meno stempiato?
Altro è scardinare le barriere ideologiche proprie di quella generazione, o fornirci di quella virtù che a loro è mancata: non sapevano quello che stavano (non) facendo o lo sapevano troppo bene? Nel caso in cui fosse proprio il coraggio, infatti, la virtù che faceva loro difetto, che cosa c’è da sperare?
Che gli attuali renziani, adesso, non replichino modelli passati, e che non indietreggino, di fronte alle resistenze più risentite, che non abbiano paura delle verità che, per lunghi decenni, i dirigenti precedenti si sono sussurrati, lungo tanti corridoi, durante tante cene, e che non hanno mai avuto il fegato di annunciare, pubblicamente. Se l’elettore medio di sinistra ha torto su quasi tutto, la responsabilità è quasi tutta loro.