Che cosa ci sia da stupirsi non si sa: che Carlo De Benedetti, nonché il suo sempiterno scudiero Eugenio Scalfari, da quasi quarant’anni, tentino di orientare o governare i destini del progressismo italiano è noto ai più. Forse, l’anatomia di quell’influenza è ancora da investigare, nel dettaglio, ma qualcuno ci ha provato, e corre voce che Ingegnere e Fondatore non l’abbiano presa benissimo: Angelo Agostini, storico del giornalismo, ha dato alle stampe, pochi anni orsono, “”la Repubblica”. Un’idea dell’Italia (1976-2006)”, nel quale si andava a dare una sbirciata (non apprezzata) agli intrecci economici e politici che hanno fatto di quel quotidiano la prima scaturigine delle mosse che sono state compiute dal PCI di Enrico Berlinguer e di Alessandro Natta, prima, e dai due partiti che, dalla radice comunista, si sono venuti creando, PDS e DS. Un’appendice sarebbe utile, che ampliasse la visuale sulle vicende del Partito Democratico: ma è anche vero che gli schemi sono gli stessi, e a cambiare sono i nomi degli influenzati, non quelli degli influenti.
Attorno al caminetto de “la Repubblica”, insomma, sono state organizzate le strategie elettorali e politiche che hanno visto Berlinguer limitare la capacità attrattiva del proprio partito alla “questione morale”, all’esibizione fiera della diversità dei comportamenti del popolo comunista, alla sua superiorità antropologica; è nelle stanze di quella redazione che si è deciso l’appoggio all’azione del pool di Mani Pulite, che è stato scelto Romano Prodi, quale candidato del neonato polo ulivista, che si è preferito accantonare Giuliano Amato, per favorire la resistibile ascesa di Francesco Rutelli, che si è registrata una favorevole consonanza d’intenti con Walter Veltroni, prima, e con Pierluigi Bersani, poi. Chi è che non ha beneficiato dei favori dell’Ingegnere e del Fondatore, nel corso di questi decenni? Nel campo progressista, si intende. Massimo D’Alema, il quale non ha mai nascosto la propria contrarietà all’etero-direzione degli attori politici e la propria volontà di difendere quel residuale potere dei partiti che garantirebbe loro esistenza autonoma e incisività dell’azione. È il turno di Renzi, questo, ma è proprio riguardo alla sua figura che si è verificato, per la prima volta, un dissenso che sta dividendo Scalfari e De Benedetti.
Come andrà a finire? In ogni caso, ciò che leggiamo sulle pagine de “la Repubblica” possiamo star certi che sia l’epifenomeno di qualcosa che avviene a livelli più profondi, o più elevati: dei sommovimenti che riguardano le dislocazioni e riallocazioni del potere progressista italiano.