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Renzi: prima di lui, il deserto

Era incompetenza? Carenza di “cultura della progettualità”? Viltà? Renzi vorrà dimostrare che, prima di lui, il deserto: che, cioè, le riforme fosse possibile farle, e velocemente, proprio come le farà lui, ma che, per uno o più di quei motivi, non siano state attuate.

Proprio vero che questa è la post-politica, se si intende la politica come quell’arte del compromesso che, però, è stata una condanna, per l’Italia, perché ha costretto i vari riformisti che hanno preceduto Renzi, alla guida del PD e dei partiti che gli sono progenitori, all’impotenza, perché il popolo non li avrebbe seguiti, per non inimicarsi la CGIL, per non “perdere le piazze” e per chissà cos’altro.

“Cambiare verso”, “adesso!”, significa togliersi di dosso tutte quelle paure che hanno paralizzato la lunga storia della sinistra italiana, quella subalternità che l’ha resa complice, quando non schiava, delle roccaforti della conservazione, quali il suddetto sindacato di riferimento, la folta (e auto-rigenerantesi) pattuglia dei “dipendenti del pubblico impiego”, nonché, buon ultimo, il (largo?) pubblico dei “social networks” e degli odiatori e commentatori internettiani seriali.

Mollati gli ormeggi, gettate via le zavorre, forse, è questo il tempo di mettere a frutto qualche decennio di riformismo teorizzato, ma praticamente impedito.

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