Una corruzione ancora molto diffusa e acutizzata da dirigismo e federalismo. E’ questa la fotografia dell’Italia fatta dalle docenti Nadia Fiorino e Emma Galli nel libro intitolato “La corruzione in Italia” edito da Il Mulino. Prima, durante e dopo Tangentopoli il fenomeno della corruzione si è modificato e, in certi casi attenuato, ma alcune scelte di governance si sono rivelate del tutto inadatte a combatterlo contribuendo, anzi, a rafforzarla. Fenomeno tornato mediaticamente alla ribalta con il rapporto dell’Unione europea che ha stimato il costo della corruzione in 60 miliardi; una stima che ha provocato peraltro dubbi e discussioni.
LE VITTIME DEL DIRIGISMO
“Investire le risorse pubbliche in settori a maggiore rischio di corruzione penalizzando l’istruzione, la ricerca e lo sviluppo indebolisce i livelli occupazionali e il percorso di crescita del paese – si legge nel libro di Fiorino e Galli – e in particolare delle aree territoriali in cui la corruzione amministrativa, saldandosi con la criminalità organizzata, finisce per escludere o limitare fortemente la presenza sul mercato di imprese sane”. Il problema, dunque, risiede non solo nell’eccessiva ingerenza da parte dello Stato in specifici settori di sviluppo, ma anche – e soprattutto – nel mancato finanziamento dei settori meno caratterizzati dalla corruzione e essenziali per lo sviluppo di un Paese, come appunto l’istruzione e la ricerca.
UNA RIFORMA CONTROPRODUCENTE
La riforma del federalismo fiscale, lungi dall’aver risolto istituzionalmente il problema della corruzione “inserendo elementi di concorrenza tra i funzionari produttori di servizi”, ha invece favorito “forme di connivenza deteriore tra classe politica, amministrazione e imprenditori”. Si legge ancora, nel libro delle docenti Fiorino e Galli, che la classe politica italiana è irresponsabile perché non deve rispondere al proprio elettorato sul fronte delle entrate, proprio in funzione delle caratteristiche del sistema della finanza decentrata entrato in vigore con la riforma del Titolo V del 2001.
PRIMA, DURANTE E DOPO TANGENTOPOLI
Anche Bruxelles condanna l’Italia dopo l’esposizione del primo report della Commissione sulla corruzione, presentato da Cecilia Malmstrom, in cui si legge che “negli ultimi anni sono state portate all’attenzione del pubblico numerose indagini per presunti casi di corruzione, finanziamento illecito ai partiti e rimborsi elettorali indebiti, che hanno visto coinvolte personalità politiche di spicco e titolari di cariche elettive a livello regionale”.
Ma non è da ieri che l’Italia manifesta alte percentuali di corruzione. Nel testo curato dalle due docenti universitarie, vengono ripercorsi gli anni precedenti e successivi allo scandalo di Mani Pulite. L’aumento della spesa pubblica negli anni ’80 viene letto come la tendenza a ridistribuire le risorse cercando di accontentare i gruppi di interesse dei partiti, mentre proprio le riforme dell’elezione del presidente del consiglio e dei sindaci e il processo di Mani Pulite ha provocato una contrazione dell’indice di corruzione dopo il 1995. Dopo il ’95, poi, ad assottigliarsi non è stata la pratica della corruzione, ma piuttosto la denuncia alle autorità, tornando ad essere una fattispecie delittuosa sommersa, come prima delle inchieste.
QUALI SOLUZIONI POSSIBILI
Il problema della corruzione non è, però, solo un problema normativo ma anche culturale. “L’attivazione di un processo virtuoso può essere affidata alla capacità di stimolo delle istituzioni nella direzione di un ripensamento della politica dell’istruzione – si legge ancora nel testo di Fiorino e Galli (docenti rispettivamente di Scienza delle finanze nell’Università dell’Aquila e di Scienza delle finanze alla Sapienza di Roma) – e dell’inserimento di nuove forze sociali, le donne e i giovani, nella politica e nel lavoro”. E continua “ma essa va rafforzata con il cambiamento sostanziale del comportamento dei singoli cittadini, nella consapevolezza che la reputazione dell’individuo e quella del gruppo sociale cui appartiene sono inscindibilmente legate”.