Venti milioni di disoccupati in Europa sono una cifra troppo grande per sperare che saranno le nuove tecnologie digitali a trovargli un nuovo posto di lavoro. Fiaccata dal crollo del Pil negli ultimi cinque anni e da quello dei consumi che ha comportato gravi danni anche ai cicli industriali con la trasmigrazione di molti impianti verso i paesi dell’Est a tassazione più bassa, l’old economy dell’Unione sta facendo i conti con i giganti player della rete, che di posti ne hanno creato molto pochi.
NEGLI USA
Se negli Stati Uniti, ai tracolli di settori storici ha fatto seguito una lenta ripresa guidata da un utilizzo intelligente del web, qui da noi, alla crisi finanziaria e a quella dell’economia reale, sta subentrando anche una preoccupante assenza di visione e prospettive. Le società di telecomunicazioni lo scorso anno hanno fatturato cinque miliardi di euro in meno e anche il comparto del credito, per via della liberalizzazione dei sistemi di pagamento e del boom degli sportelli on line, si trova a fare i conti con forti processi di ristrutturazione del personale. Non esiste un progetto comune per avviare le giovani leve iperconnesse alle nuove professionalità, sorte invece come funghi negli Stati Uniti, dove le aziende over the top hanno funzionato come incubatrici delle nuove imprese internettiane.
UNA RICERCA TARGATA OXFORD
Una ricerca di due economisti di Oxford, ha fornito risultati clamorosi ma non imprevisti. Da qui a vent’anni una lunga serie di lavori, soprattutto intellettuali e professionali, potrebbero letteralmente sparire. I due ricercatori hanno messo a punto una sorta di indice di disoccupabilità futura. Se mestieri quali i fisioterapisti (3 per mille la probabilità di scomparire), i dentisti (4 per mille), gli allenatori (7 per mille), il clero (8 per mille), gli ingegneri chimici (2%) e gli editori (6%) sembrano quasi al sicuro, dagli attori in poi (37% la possibilità di essere sostituiti) sono tantissime le posizioni lavorative a rischio. Si va dagli economisti (l’indice è 43%) ai piloti commerciali (55%) fino ai macchinisti (65%) e ai word processors (81%) per finire a quelle figure che sarebbero ad un passo dall’estinzione da qui al 2033: gli agenti immobiliari hanno addirittura l’86% di possibilità di restare al palo, i venditori al dettaglio sarebbero ad un passo dalla sparizione (92%) come anche i contabili e i consulenti legali (94%).
Forse ad Oxford sono troppo pessimisti, ma è indubbio che è in atto da tempo una trasformazione dei sistemi produttivi: il capitale si sta sostituendo troppo spesso al lavoro e soprattutto la sua dittatura si sta instaurando sul serio. Molte professioni che ieri sembravano al sicuro domani potrebbero non esserlo più.
IL RAPPORTO EURISPES
Una conferma a questa lettura arriva peraltro dal recente Rapporto Eurispes in cui è stato evidenziato come in Italia, oltre al perdurante problema della disoccupazione giovanile e alla sfiducia crescente nei confronti delle istituzioni, sta emergendo anche tra coloro che si sentivano più al riparo un senso di disagio sul proprio futuro occupazionale. Solo l’8% dei lavoratori italiani ha dichiarato infatti di non essere sottoposto alla pressione di eventi psicologici a causa del lavoro, il restante 92%, seppur con modalità e intensità differenti, al contrario, riconosce, sintomi di stress derivanti dal lavoro e dalle mansioni che svolge. Il 59,5% solo qualche volta, il 21,9% spesso, mentre il 10,6% addirittura sempre.
Se a questo si aggiunge che la variabile di internet, quell’algoritmo ancora sconosciuto che trasforma (per ora) i fattori umani della produzione in possibili disoccupati, non ha trovato nessuno che possa dominarla davvero, il quadro è completo.
IL MODELLO NYT
Basta prendere un settore chiave come quello editoriale, tra i più colpiti dalla computerisation, per avere conferma di quanto sia incerto il futuro: la rete sta ormai trasformando le notizie in vere e proprie commodities a prescindere da chi le diffonde. Anche in questo caso, mentre i siti dei principali quotidiani italiani hanno cominciato a perdere lettori secondo gli ultimi dati disponibili, l’unica risposta concreta è arrivata dall’America. Il modello New York Times, basato sul cosiddetto “metered Paywall” che prevede per gli utenti l’accesso gratuito a un numero limitato di articoli al mese e gli altri a pagamento, risulta infatti al momento l’unico vincente grazie al fatto di offrire in rete contenuti esclusivi e commenti qualificati. Negli Usa si innova e si cavalca la grande onda della rete, qui si aspetta lo tsunami passivamente.
UNA RISPOSTA EUROPEA
Nel nostro vecchio continente non ci sono colossi industriali in grado di creare nuovi mercati, tanto meno la flessibilità necessaria per convertire i business model alla velocità della rete. E’ ora di mettere a punto un vasto piano d’azione a livello europeo per fornire una risposta a quei venti milioni di domande di lavoro e garantire sicurezza a tutti quelli che temono di finire fuori dal mercato.