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I giovani dalle quattro cartelline verdi

Sul tavolo della scrivania ci sono quattro cartelline verdi, ognuna della quali conserva diverse tipologie di documenti. Nella prima ci sono i curriculum nella versione italiana, nella seconda quelli in inglese, nella terza c’è una prima versione della lettera di presentazione, nella quarta un’altra versione ancora. E poi biglietti da visita, perché si sa…senza di quelli è un po’ come non essere nessuno, è come non avere un’identità. Poi c’è Linkedin, che l’identità te la costruisce on line, sopra un social network in cui noi tutti svisceriamo le nostre competenze, come fosse una vetrina con la quale adescare aziende interessate al nostro profilo.

Passiamo per gli stage più assurdi, che non prevedono per noi nemmeno un rimborso spese, eh già, perché quasi quasi dovremmo essere noi a pagare per il fatto di poter affiancare gli esperti di settore. Quegli esperti che dieci anni fa sono stati assunti a tempo indeterminato ed ora nessuno può spostarli da dove sono. E non conta che con ciò che sai, con ciò che hai appreso con la gavetta (passatemi il termine ormai inconsueto) potresti ballargli sulla testa. Devi fare esperienza. Non sei nessuno. Tu sei giovane.

Giovane? A 27 anni (la mia età) mio padre era già sposato e mi aveva visto nascere due anni prima. Aveva una casa tutta sua, una macchina con cui andare a lavorare e lo stipendio gli bastava a campare una famiglia. Non aveva mai scritto un curriculum, figuriamoci una lettera di presentazione. Non ha mai ordinato biglietti da visita e non credo che comprenda bene il meccanismo dello stage non retribuito.

È di oggi la pubblicazione dell’indagine Istat che evidenzia i dati relativi a circa sette milioni di giovani “tra i 18 e i 34 anni che vivono con almeno un genitore”. Tutte persone che non hanno ancora la possibilità di progettare un futuro. Niente di straordinario, solo il proprio dannatissimo futuro: un lavoro, una casa, dei figli, una macchina ( se possibile).

Siamo di fronte ad un disastro della quale gravità non ci si rende ancora conto. Questa impasse sociale ha partorito frotte di persone insicure e ansiose, paralizzate dalla paura di non arrivare mai ad un momento di stabilità, quella stabilità che a tutti spetterebbe, un momento in cui si dispone del proprio destino, in cui il tempo libero possa essere vero tempo libero e non senso di colpa da espiare alla ricerca disperata di occasioni lavorative/esperienze/stagenonretribuiti.

E se è vero che non bisogna mai demordere e lasciarsi andare è pur vero che se sette milioni di giovani italiani vivono ancora dentro casa con i genitori, ci sarà un motivo. Magari un terzo di loro sono Bamboccioni come li definì la bonanima di Padoa-Schioppa, magari un altro terzo sono Choosy come disse la Fornero. Ma gli altri? Chi sono quelli dell’ultimo terzo?

Sono quelli che pagano master finalizzati ad uno stage che non li condurrà da nessuna parte, sono quelli che ci mettono l’anima (rovinandosela talvolta), quelli che –per dirla con un recente spot-  “il suo curriculum è eccellente, ma per questo progetto non c’è budget”, quelli che poi alla fine se ne vanno a Londra o in Australia per cercare di ottenere il meglio, o per lo meno il giusto.

Sono quelli dalle quattro cartelline verdi con dentro riposti curriculum in tutte le salse, quelli di Linkedin e delle speranze mai spente.

È questa fetta di individui, quella dell’ultimo terzo di sette milioni di giovani che il Governo non può e non deve ignorare.

 

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