Se Mario Monti era una quaglia, anche Enrico Letta lo è, e tutti a tirare, inevitabilmente: ma io ho cominciato a domandarmi se coloro che passano il proprio tempo a sparare sul potente di turno, a prescindere, lo facciano con competenza, e serenamente, o se non siano, piuttosto, guidati da altro, da forze sconosciute e tremende; se riescano a guardarsi allo specchio, infine. Affar loro, d’altronde.
Chiunque si trovi a dover governare questo Paese (che è piuttosto all’avanguardia, almeno per quanto riguarda alcuni indici: chili di bile per abitante, litri di piagnisteo per metro quadro) sarà costretto a subire la pratica nazional-intellettual-popolare della caccia al responsabile supremo, che è, manco a dirlo, chi si trovi a dover presiedere il Consiglio dei Ministri, sfortunato lui.
Uno che abbia dimestichezza con la teoria vittimaria di René Girard potrebbe affermare che, così, si realizza una situazione singolare, ma non sconosciuta agli storici: l’eterno capro espiatorio italiano, l’anello più debole, immancabilmente coincide con la figura di colui che dovrebbe essere l’uomo più potente del momento. Come uscirne? Tutti in fila, al confessionale, a snocciolare i propri peccati, prima di ergersi a giudici di quelli altrui: sarebbe un buon inizio.