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Molto “social”, poco liberi

Innovazioni tecniche producono nuovi tipi umani (“Menschentum”), no? E quante se ne sono lette, sulle generazioni cresciute con Facebook e con Twitter: incapaci, spesso, di dedicare la propria attenzione alla letteratura, che richiede tempo e pazienza: meglio l’emozione subitanea provocata da uno “status” o da un “tweet” brillanti, quando non “geniali”.

Ciò che impressiona di più me, però, è altro: innanzitutto, occorre precisare che chi sta scrivendo è uno che tende all’autismo intellettuale, che non ha mai “lasciato un commento”, in anni di frequentazione di Facebook, e che, comunque, sa che non è bene fare il proprio vanto dei propri tic: ammesso ciò, coloro che, diversamente da me, sono dei seminatori seriali di commenti, mi spaventano e non riesco a “comprenderli”, anche perché non voglio, forse: avrei paura di incontrarli, di conoscerli, ma devo ancora chiarirmi il perché, e non sto gigioneggiando.

Quando ci concediamo un attimo di tregua dalle nostre occupazioni, ci càpita di dare un’occhiata, insomma, a Facebook: ore di discussioni serrate, nel corso delle quali vengono fatte le pulci alle argomentazioni degli interlocutori, e tutto questo sarebbe, dunque, una “palestra del civile conversare”. Niente da dire, se non che, spesso, tutta quella civiltà degenera in insinuazioni, maledizioni, insulti apertamente gridati: altrettanto spesso, invece, no, e il tono si mantiene educato e corretto, e la violenza sembra trattenuta, dissimulata.

Ecco: mi viene da pensare che, anche in questi casi fortunati, se i due si trovassero uno di fronte all’altro, la loro conversazione assumerebbe, piuttosto, la forma del ceffone e del calcio da dietro. Allora, quelle virtuali sarebbero forme meritorie di neutralizzazione verbale del conflitto, no? Può darsi. Ma il dibattito può essere una traslazione sado-masochistica di certi rapporti di potere, ed è piuttosto evidente la sua origine, il legame ferreo che imprigiona i due dibattenti e che costringe chi ha torto a non abbandonare chi ha ragione, e lo spinge all’accanimento, e continuo a simpatizzare, io, con coloro che non rompono il silenzio: che mi sembra, paradossalmente, oggi, la condizione, per quanto inusuale, della libertà.

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