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L’insostenibile sostenibilità di Fiat

Non esistono premi o classifiche al mondo che non suscitino dubbi o perplessità. Figurarsi quando le graduatorie riguardano una tematica come la Csr. In questo ambito, ancora “giovane” e spesso sperimentale, chi stila elenchi gioca col fuoco, e sa di doversi confrontare con le polemiche per quanto possa garantire trasparenza e coerenza.

Tuttavia, suscita perplessità piuttosto pesanti, e appaiono assai poco “difendibili”, alcune risultanze del Sustainability Yearbook 2014 di RobecoSam (vedi articolo sul report). La società di analisi, in particolare la sua anima svizzera Sam – che già era tra le più accreditate realtà dedite (e credenti) alla sostenibilità nella finanza quando in Italia la sua attività veniva confusa con quella della Caritas -, porta un pedigree senza macchia. Ma, evidentemente, gli scherzi della tempistica, o le magie delle medie matematiche, stavolta hanno giocato un pessimo tiro agli analisti.

A colpire allo stomaco (metafora forte, ma appropriata), è l’assegnazione di due delle tre gold class italiane a Fiat e Cnh (ex Fiat Industrial). L’equivoco, il paradosso e l’errore, nascono dal fatto che RobecoSam pone ancora la dicitura “Italy” a fianco delle due società. Viceversa, se l’italianità storica e operativa sono incontestabili, l’italianità legale, fiscale e di governance sono assai più che in discussione.

Lo scorso 29 gennaio, infatti, il consiglio di amministrazione di Fiat Spa (ormai Fiat Chrysler Automobiles) ha deliberato di trasferire la sede legale in Olanda, il quartier generale (principal office) nel Regno Unito e di considerare il listino di New York come quello principale (Milano scende a quotazione secondaria). È vero che la decisione di Fiat è arrivata dopo la pubblicazione del Sustainability Yearbook 2014. Ma le voci circolavano da tempo. Inoltre, la stessa decisione era stata presa per Cnh già da qualche mese (quindi prima dell’Yearbook), tanto che il principal office della ex Fiat Industrial è oggi a Basildon, 70 chilometri da Londra.

Il primo colpo allo stomaco arriva considerando gli aspetti etico-sociali alla base di queste mosse. Il “trasferimento” ad Amsterdam è stato adottato per consentire una maggiore presa sul capitale (l’Olanda consente complesse moltiplicazioni di azioni ai detentori delle quote di maggioranza) senza esborsi di denaro: alla faccia della trasparenza del mercato e dell’utopia delle public company. Il “trasloco” nel Regno Unito è finalizzato a godere di una minore tassazione rispetto a quella italiana. Alla faccia dei paradisi fiscali e, nel caso particolare della Fiat, degli incentivi e dei sussidi ricevuti dallo Stato italiano nel suo secolo di storia.

Il secondo colpo allo stomaco arriva esaminando gli aspetti di governance e di rapporto con gli stakeholder che la strategia sottintende. Oltre all’evidente distacco (smacco) dall’Italia in quanto Stato (e fisco), la Fiat sancisce di fatto una separazione dall’Italia quale territorio, azionisti (di minoranza), lavoratori, sindacati, fornitori e così via lungo (e attorno) alla catena di valore (questi “peggioramenti”, viceversa, sono stati sottolineati con un downgrade del rating etico di Fiat deciso il 30 gennaio dall’agenzia Standard Ethics).

L’aspetto che rende anche più grave la “gold class” concessa a Fiat e Cnh, è che la stessa RobecoSam ha dedicato un capitolo intero a spiegare come questo Yearbook per la prima volta vada oltre le apparenze in termini di engagement degli stakeholder. «In precedenza – si legge nel documento – l’analisi semplicemente chiedeva alle aziende se esisteva una policy in tema di stakeholder engagement. Adesso, l’indagine punta a concentrarsi sul come e quanto le società siano state in grado di implementare quella policy». Questa maggiore attenzione deriva dall’accresciuta importanza della condivizione col territorio dell’attività d’impresa. «Adottando un approccio proattivo all’engagement degli stakeholder – scrive ancora RobecoSam – le società possono stabilire costruttive relazioni con gli stakeholder locali come i sindacati, i regolatori e le comunità locali. In questo modo, sarà più facile evitare interruzioni del business dovute a scioperi, boicottaggi, furti o anche sabotaggi che possono riflettersi in mancati ricavi o danni reputazionali. Per giunta, grazie alla crescita dei social media, gli stakeholder locali detengono significativamente maggiore potere rispetto a pochi anni orsono».

A questo punto, per legittimare le sue medaglie d’oro, sarà interessante comprendere a quali local stakeholder farà riferimento RobecoSam nel prossimo report.



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