Che il conflitto siriano stia assumendo dimensioni globali, ormai è praticamente una certezza. Gli stati occidentali e i loro alleati mediorientali da un lato, i russi e gli iraniani (con l’appoggio dell’importante frangia libanese di Hezbollah) dall’altro.
La globalità non riguarda tanto il campo di combattimento, fortunatamente ancora più o meno contingentato al Paese e massimo zone strettamente contigue (mercoledì è stato ucciso un comandante alawita vicino ad Hezbollah a Tripoli, in Libano), ma soprattutto la partecipazione nelle operazioni di guerra di diverse provenienze.
È girata pochi giorni fa la notizia dell’uccisione del jihadista finlandese ribattezzato Abu Anas al-Finlandi (aggregatosi all’Isis mesi fa): confermata o no, sarebbe semplicemente un altro caso di un muhajirin, i guerrieri venuti da fuori, morto in questa guerra.
Di loro, ne è piena la Siria, ormai; tanto che si sono creati centri di reclutamento sul posto, per accogliere, e “favorirne l’integrazione” nelle brigate, i combattenti che arrivano dall’estero – di uno abbastanza attivo, quello francese, ne parla il responsabile in una bella intervista su Vice, fatta dal suo ex compagno di banco a scuola, che lo ha rintracciato attraverso Facebook.
Oltre 70 nazionalità presenti, per lo più provenienti dall’Arabia Saudita, dalla Tunisia, dalla Libia e dalla Russia, dove alcuni ceceni sono arrivati fino in cima ai vertici del comando, come nel caso di Abu Omar al-Shishani (“il ceceno”), che con la sua katiba è diventato uno dei comandanti più influenti dell’Isis e adesso guida un jaysh, esercito, di più di mille uomini affiliato all’Isis.
Ma oltre ai combattenti sul lato dei ribelli, ci sono anche quelli delle milizie filo-governative: gli shabiha, i fantasmi, gruppi para militari lealisti (fin che dura, verrebbe da dire) che combattono la sopravvivenza etnica degli sciiti (alawiti) contro l’invasione sunnita delle opposizioni. Gruppi inizialmente disorganizzati, poi addestrati e riforniti dall’esercito di Assad.
E non si tratta solo di locali: a sostenere il presidente ci sono i combattenti volontari Basij, iraniani. Arriva oggi una notizia a conferma della dimensione globale che sta assumendo il conflitto: mentre gli Stati Uniti e gli alleati del Golfo (Arabia e Giordania) pensano a fornire gli armamenti necessari per permettere ai ribelli di alleggerire il gap sul fronte della superiorità aerea con la controversa fornitura dei Manpad antiaerei – unico vero punto di differenza tra le forze in campo; Assad infatti può contare sull’aviazione, mentre i ribelli non hanno alcun mezzo aereo -, a quanto pare anche l’Iran starebbe pensando all’aumento del supporto militare. Boots on the ground, però: diversi comandanti del corpo d’élite dei Guardiani, Quds Force, starebbero arrivando in Siria per addestrare i combattenti assadisti e l’esercito governativo, e per dirigere le operazioni d’intelligence.
A rivelare il rafforzamento con nuove unità (60 o forze 70 top comandanti Quds) di elementi che avrebbero il compito di fare da consulenti militari – e che in realtà sono già presenti da un po’, in numero limitato -, è stata una fonte anonima a Reuters. Secondo le opposizioni, già molti militari iraniani si troverebbero all’interno della Siria, volati direttamente in aereo a Damasco.
L’aiuto iraniano sarebbe attualmente indispensabile – così come quello di Hezbollah, sponsorizzato comunque dall’Iran – e a detta di diversi analisti, resterebbe l’unica ancora di salvezza per il regime di Assad.
Gli aiuti, non riguarderebbero però soltanto il comparto logistico. Da qualche settimana a questa parte, sono apparsi in mano alle forze dell’esercito di Assad, lanciarazzi Falaq-1 e Falaq-2, di fabbricazione iraniana. Il porto di Tartus e addirittura quello di Latakia – luogo di smistamento delle armi chimiche – sarebbero i centri marittimi del trasbordo degli approvvigionamenti militari, provenienti ancora, a quanto pare, anche dalla Russia: munizioni e attrezzature di vario genere, mentre alcuni combattenti nella zona di Homs dicono che l’aeroporto di Hama è il centro di consegna delle armi via cielo.