Sembra essersi risolta la situazione in Ucraina: sembra. Gli scontri dei giorni passati che avevano portato a quasi cento morti tra agenti e manifestanti, si sono conclusi con una vittoria delle opposizioni: il presidente Yanukoivch è fuggito e ha fatto perdere le proprie tracce, sfiduciato dal Parlamento (che ha votato l’impeachment) e dal suo stesso partito (che lo ha scaricato ritenendolo responsabile delle violenze); i Berkut (le forze speciali della polizia protagoniste della soppressione dal pugno duro) hanno abbandonato le postazioni, saltato le barricate, e chi non è fuggito si è messo dalla parte dei manifestanti. Il palazzo presidenziale in Mezhyhirya, l’immagine fisica del potere, è stato occupato dalla gente (e dai giornalisti); girano foto che testimoniano i suoi sfarzi: parco con gli struzzi, un galeone spiaggiato in un laghetto artificiale utilizzato come salone ristorante, un garage con un parco macchine mostruoso, motoscafi, un campo da golf e via dicendo. La liberazione di Yulia Tymoschenko è un ulteriore segnale che le cose stanno cambiando – e molto probabilmente sarà l’acerrima nemica dell’ex presidente a prenderne il posto dopo le elezioni convocate per maggio, anche se ha rifiutato per adesso il ruolo di premier ed è apparsi in condizioni di salute non ottimali.
Tutto sembrerebbe portare le cose verso una soluzione, ma non è irrealistico pensare che i problemi del paese non siano ancora conclusi. Il processo verso una stabilizzazione è lungo e controverso: anche perché la Russia sicuramente non rinuncerà ad esercitare la propria influenza – per tutta una serie di interessi economici e strategici, in testa il passaggio di diverse vie dell’energia (gasdotti e oleodotti).
L’Ucraina è un Paese diviso (c’è una mappa ricostruita da Limes che lo racconto). Così come era ed è divisa la piazza che si è scagliata contro le istituzioni del regime – e le reazioni immediate alla diffusione dell’accordo firmato tra i leader dell’opposizione e governo (con la mediazione dei ministri degli Esteri inviati dall’unione europea) ne sono stata testimonianza.
Anche la retorica del Partito delle regioni, con cui Yanukovich ha sostenuto questi mesi di proteste, è stata ambigua. Se verso l’esterno si cercava di far passare i manifestanti come la peggior deriva neonazista presente in Europa, all’interno del Paese si raccontava (anche ai poliziotti) di lottare contro una rivolta sollevata dagli ebrei. E sempre all’interno dell’Ucraina, la risposta mediatica contro le proteste (come raccontava Raineri sul Foglio) è stata anche cavalcare il vento omofobo che scendeva da Mosca: dopo l’incontro di Vitali Klitschko (l’ex pugile tra i leader degli insorti) con il capo della diplomazia tedesca Guido Westerwelle, omosessuale, si è «dato il via a una campagna martellante contro i rivoltosi che aspirano alla decadenza e alla corruzione morale dell’Unione Europea», facendo credere che tra le altre cose, aderire all’UE significava cedere al compromesso dei matrimoni gay.
All’interno delle proteste le posizioni di destra hanno giocato sicuramente un ruolo importante, soprattutto attivo durante le battaglie di piazza, facendo assumere sfaccettature più complesse a quei dimostranti semplificati come “europeisti”. Ma la realtà di partiti come l’ultranazionalista Svoboda, o le frange spostate ancora più a destra come Settore Destra, hanno un peso nelle dinamiche politiche ucraine molto minore di quello che partiti analoghi hanno in nazioni come l’Austria, l’Olanda, o la Francia del Front National di Marine Le Pen. Tanto che gli ebrei nel paese, di fatto, sarebbero stati schierati proprio con le opposizioni.
Il superamento (momentaneo?) dei conflitti di piazza Maidan, apre un nuovo e più ampio scenario: nella penisola di Crimea, repubblica autonoma dove la componente filorussa è prevalente, si starebbero organizzando forze di autodifesa contro gli europeisti. E anche nelle parti orientali del Paese, i sostenitori di Yanukovich sono scesi in strada per manifestare il proprio dissenso alle decisioni prese nelle ultime ore dal parlamento.
Gli accordi raggiunti dopo la guerra cittadina che ha incendiato Kiev tra giovedì e mercoledì della scorsa settimana, potrebbero essere soltanto un passaggio politico in quella che rischia di assumere le dimensioni di una guerra civile in tutte le parti del paese.
Con questo dovrà confrontarsi il nascente governo di Unità nazionale, su questi si dovranno confrontare i leader europei e mondiali, mediando con Putin affinché non contribuisca ad infiammare la situazione ulteriormente – da Mosca nel frattempo, a quanto pare, arrivano reazioni di sorpresa per il rapido sfarinamento del regime presidenziale.