Un’Italia estranea all’Unione Europea e separata dalla moneta unica sarebbe stata travolta dalla crisi finanziaria. Ma per poter esprimere le sue enormi potenzialità l’Ue deve procedere con forza e determinazione sulla strada della piena integrazione politico-istituzionale ed economica. Mettendo in campo a livello comunitario le strategie fiscali espansive in grado di compensare le misure di austerità assunte sul piano nazionale. E costruendo un assetto il più possibile affine all’architettura federale degli Stati Uniti, formidabile baluardo contro gli effetti del tracollo bancario del 2007-2008.
È la prospettiva emersa nel convegno “L’ingresso dell’Italia nell’Euro: problemi e prospettive”, organizzato ieri a Montecitorio dall’Accademia Internazionale per lo Sviluppo Economico e Sociale in occasione della ricorrenza della firma del Trattato di Maastricht e in onore del Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, protagonista di spicco dell’ingresso del nostro Paese nell’Euro-zona. Il confronto tra giuristi ed economisti che ne è scaturito prefigura un orizzonte alternativo alla critica radicale al percorso di unificazione valutaria e molto lontano rispetto al superamento dei parametri del Fiscal Compact nell’alveo dell’ancoraggio all’euro.
Recuperare lo spirito dei padri fondatori
Rivolgendosi ai promotori dell’iniziativa, il capo dello Stato Giorgio Napolitano ricorda come l’adozione della moneta unica abbia ridotto i tassi di interesse, accresciuto la trasparenza, stabilità e competitività dei prezzi, favorito gli investimenti esteri per il venir meno della volatilità del cambio. La facoltà di pagare con una valuta comune, rimarca il presidente della Repubblica, ha incoraggiato la convergenza economico-commerciale tra i Paesi Ue, a beneficio degli Stati meno virtuosi nel governo dei conti pubblici: “Senza l’euro, l’UE e la BCE, il nostro paese avrebbe subito effetti catastrofici per crisi finanziaria”. Ma ora, spiega Napolitano recuperando il senso del suo intervento al Parlamento europeo, è necessario andare oltre i parametri di austerità predominanti e promuovere la piena integrazione nel terreno economico-bancario-fiscale e politico-istituzionale, recuperando l’esprit communitaire dei padri fondatori.
Le risposte europeiste alla crisi economica
È il ministro degli Affari europei Enzo Moavero Milanesi a riconoscere ai Trattati UE un elevato livello di elasticità e adattabilità ai cambiamenti economici. Grazie a tali fattori, osserva l’esponente di governo, la crisi può conoscere un’inversione di tendenza a partire dal 2014: “Non è casuale che mentre l’Unione si è allargata a 28 Stati membri con richieste crescenti di adesione, l’area della valuta unica ha visto l’ingresso del 18° paese”.
Ma ciò non è sufficiente. Perché è evidente l’esigenza di una legittimazione democratica delle istituzioni comunitarie e di un’interpretazione flessibile dei contenuti del Fiscal Compact, che non si esauriscono nel puro rigore di bilancio. Allo stesso modo, precisa il rappresentante di Scelta Civica, le norme sul coordinamento e la vigilanza unica bancaria affidata alla BCE costituiscono validi strumenti federali per risanare gli istituti creditizi e accrescere la coesione dell’Ue.
Possiamo vivere di sola virtù?
Favorevole a un’evoluzione federale della costruzione europea è Giuliano Amato, il quale denuncia il clima emotivo e irrazionale che avvolge l’UE oggi. Con Ciampi il giurista lavorò per persuadere gli italiani che “era molto meglio pesare con la propria percentuale nel board di una Banca centrale europea fondata su una valuta unica che essere sovrani in una giurisdizione monetaria nazionale illusoria, visto che ci espone alla mercé e ai mutevoli capricci dei mercati come nell’autunno 1992”. Tuttavia quello “stare insieme” è stato realizzato tramite la BCE. Tutto il resto è affidato al mero coordinamento inter-governativo dell’economia. Strumento inadeguato alla luce di persistenti asimmetrie economiche nell’Euro-zona acuite da fattori traumatici esterni.
Così le divergenze nella stessa area valutaria sono aumentate, le nostre economie sono in crisi, è cresciuta l’ostilità e la reciproca diffidenza tra europei, si fanno strada spinte che mettono in discussione l’adesione italiana all’Ue. Rivendicazioni a cui per l’ex capo del governo è necessario rispondere non tanto con il pagamento sovranazionale dei debiti contratti sul piano nazionale, bensì con un governo multi-livello investito come negli Usa di compiti differenti rispetto a quelli statali. Se questi ultimi lavorano a politiche di risanamento e austerità, le istituzioni federali devono restituire ossigeno al tessuto produttivo e sociale con provvedimenti espansivi in chiave anti-ciclica: “Perché non di sola virtù possiamo vivere”.
Sovranità economica nazionale o unione federale?
Riflessioni che alimentano i dubbi e gli interrogativi dell’economista Antonio Rinaldi, europeista in trincea nella campagna contro il processo di integrazione monetaria. Lo studioso ha chiesto se vent’anni fa fosse stato opportuno riconoscere all’Italia la facoltà di recedere dalla valuta unica per ottenere un potere contrattuale efficace contro i dogmi dell’austerità e rivendicare spazi di autonomia economico-finanziaria nazionale che lo stesso Trattato di Maastricht permette. Il nostro Paese, ha replicato Amato, non ha mai pensato di ricorrere “a un istituto nordico e isolano”. E non essendo gli Stati Uniti, se resta fuori dall’Unione monetaria rischia molti guai: “Meglio l’interconnessione dell’isolamento”.
Ragionamento ripreso dal sindacalista Carmelo Cedrone, vice-presidente della Commissione Economica del Comitato economico e sociale europeo. La strada da intraprendere, ha spiegato, non è riportare le politiche economiche a livello nazionale poiché il vero limite attinente all’Euro-zona è la mancanza di una governance comunitaria della moneta unica.
La visione degli euro-entusiasti
Fautore delle politiche comunitarie imperniate sul rigore è Lorenzo Bini Smaghi, già membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea e presidente di SNAM rete gas: “Nel 1998 Ciampi affermò che l’euro non rappresentava il paradiso né l’inferno. E che noi dobbiamo lavorare tutti i giorni per meritarcelo. L’Italia invece si è comportata come se la valuta unica fosse il paradiso e ha rinunciato a realizzare autonomamente le riforme strutturali dei conti pubblici, della burocrazia, della giustizia, del mercato del lavoro”.
Il nostro Paese, ha aggiunto, è troppo grande per essere salvato da altri e finché non affronteremo alla radice i problemi storici di competitività e modernizzazione l’Unione Europea resterà prigioniera della crisi. A suo giudizio la via d’uscita non è colpevolizzare gli altri Paesi né proporre la fuoriuscita dall’euro, la moneta unica a due velocità, l’adozione degli euro-bond – “vorrebbe dire risanare i conti e il debito pubblico a spese altrui” – o il superamento del Fiscal Compact.
Il grido di accusa di un europeista tradito
Visione che incontra profondo dissenso nelle parole di Alberto Quadrio Curzio, professore di Economia politica all’Università Cattolica di Milano. Ricordando come Ciampi ritenesse l’euro il primo passo per un nuovo Trattato in grado di prefigurare una Federazione di Stati nazionali, lo studioso ritiene il percorso di integrazione comunitaria fortemente segnato dal peso e impronta egemonica della Germania. Tra il 2004 e il 2013 la crescita complessiva degli Usa è stata del 18 per cento a fronte del 7 per cento rilevato in Europa, che ha visto aumentare in pochi anni il tasso di disoccupazione dal 7 al 13 per cento: “Mi chiedo se sia soltanto nell’Italia la ragione dello scarso sviluppo dell’Ue e della distruzione del suo potenziale produttivo”.
Consapevole del bisogno inderogabile delle riforme di risanamento e competitività nel nostro paese, l’economista accusa Berlino e i paesi del Nord di non aver voluto attuare strategie finanziarie e fiscali più flessibili ed espansive. Rifiutando ogni discussione sull’introduzione degli euro-bond, già prospettati da Jaques Delors nel 1993 come emissioni comuni obbligazionarie per finanziarie gli investimenti infrastrutturali necessari per la vitalità del mercato europeo. Strumenti che vanno oltre la semplice messa in comune del debito sovrano.
Non è vero, in altre parole, che la Germania, la quale nel biennio 2002-2003 ha violato e sforato i parametri di stabilità finanziaria europea, stia sostenendo sulle proprie spalle il peso e la responsabilità per il risanamento del Vecchio Continente. La prova eloquente risiede nelle risorse europee disponibili dal 2014 al 2020, ridotte per la prima volta rispetto agli anni passati. Mentre le infrastrutture energetiche, dei trasporti e telecomunicazioni richiederebbero un intervento per 2-3 trilioni di euro. E non si tratta, conclude Quadrio Curzio, di tardo keynesismo ideologico.
Giuliano Amato al Prof. Rinaldi : “La Libertà comporta anche assumersi le proprie responsabilità”. Il video