Skip to main content

C’è qualcosa che non torna, nei recenti tweet di Obama

 

Altroché Beyoncé. Smentita alla velocità della luce la vanità di Pascal Rostain, il discusso paparazzo francese che aveva fatto scoppiare in radio lo scandalo del flirt tra Obama e la cantante – ripreso e rilanciato per primo dal composto e conservatore Le Figaro, per poi essere sulle prime pagine di tutto il mondo, fino a che non è arrivata la chiusura definitiva dell’affaire da parte del Washington Post, dove sarebbe dovuta uscire la notizia, secondo Rostain – il San Valentino, il presidente l’ha passato con la moglie Michelle, come ci è stato fatto sapere via Twitter. E magari la serata è scorsa via come quella di tante famiglie, forse guardando su Netflix la nuova stagione di “House of Cards” di cui il Prez è “Fun-in-chief“. (La serie targata HBO racconta le vicende di Frank Underwood, politico interpretato da Kevin Spacey, che vuole vendicarsi con il presidente degli Stati Uniti per la mancata nomina a Segretario di Stato).

Era già uscito tempo fa sul New York Times un pezzo di Michael Shear sui gusti televisivi del presidente – lo sport su ESPN, “Game of Thrones”, “Boardwalk Empire”, “Mad Men”, “Breaking Bad” e appunto “House of Cards” (scherzerebbe spesso con il suo staff sul non sapeer controllare il Congresso come Underwood) – e sul fatto che odiava essere spoilerato (con spoiler, per i pochi che non lo sanno, si definisce un testo che racconta i passaggi salienti di una trama): tutto confermato ieri sera da un tweet, dove in vista della ripresa della serie, si chiedeva appunto di evitare spoiler, scherzosamente sia chiaro.

Twitter, appunto.

Perché in America già da diversi mesi è in corso un dibattito che si attorciglia attorno al fatto che l’account presidenziale ufficiale, non sia gestito direttamente dal presidente, o da qualcuno dei suoi strettissimi collaboratori super geek, ma da Organizing for Action (OFA), organizzazione no profit – “501(c)(4)” come sono definite negli Stati Uniti quelle che si occupano di “Civic Leagues, Social Welfare Organizations, and Local Associations of Employees” – che ha ereditato il ruolo dell’intensa attività organizzativa coordinata nelle fasi di campagna elettorale.

Effettivamente tutto è chiaro e descritto nella bio del profilo, dove è indicato che l’account è in mano a OFA e che eventuali tweet diretti del presidente sono firmati con la sigla “-bo”; tutto chiaro se non fosse che negli ultimi mesi nessun tweet è apparso con quella sigla in fondo. Secondo diversi opinionisti, la confusione arriva proprio dal fatto che molte persone mentre rispondono (o leggono) ai tweet del presidente, pensano di interagire direttamente con lui, senza che mai OFA faccia notare il misunderstanding nelle interazioni dei 140 caratteri.

Negli ultimi giorni, per esempio, l’opinione pubblica americana è stata molto sollecitata dall’outing del giocatore di football Michael Sam, universitario pronto per il draft, che ha dichiarato di essere omosessuale – il primo nella storia dello sport, tutto muscoli e virilità. Dall’account di Obama sono uscite parole di sostegno e apprezzamento, se non fosse che, come ha fatto notare Philip Bump su The Wire, non si capisce se quelle congratulazioni siano un pensiero del presidente o dell’organizzazione. (Tra l’altro, Bump racconta di aver contattato OFA via mail, per chiedere chiarimenti, senza però ricevere risposta).

Sebbene la distinzione possa essere formalmente spiegata nella descrizione dell’account, molto spesso i media non riescono a coglierla e riprendono i tweet senza nessun filtro di riflessione, creando una confusione informativa, aiutata anche dal fatto che la stessa Organizing for Action mantiene attivo un proprio account. Ecco allora che se fosse stata OFA a volersi complimentare con Sam per aver sdoganato un silenzio di lungo corso sui gay nell’NFL, avrebbe potuto farlo direttamente da lì; altrettanto, se invece quello fosse stato il pensiero di Obama in persona, avrebbe dovuto esserci la firma “-bo”.

Ma c’è di più; è infatti successo alcune volte, che nei tweet fossero presenti link che portavano a concorsi con in palio l’occasione di incontrare personalmente Obama, solo che una volta che ci si registrava, si apriva una finestra che richiedeva alle persone di effettuare donazioni per sostenere le attività di OFA.

Allora, torniamo al punto di partenza, quel tweet sulla serie HBO. I risultati di social media marketing ottenuti sono stati ottimi: oltre 38 mila retweet e oltre 20 mila aggiunte ai preferiti. E il punto è qui: perché se nel caso è vero come raccontava quell’articolo del New York Times che Obama è veramente un fan di “House of Cards”, stando come stanno le cose, nessuno potrebbe impedire a OFA, in altre situazioni, di fare accordi di finanziamento con qualche azienda, garantendo l’uso dell’immagine del presidente per la promozione del marchio.

 



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter