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Parolin avverte: con la politica non parla solo la Cei

A pochi giorni dalla creazione cardinalizia, il segretario di Stato, mons. Pietro Parolin, ha concesso un’ampia intervista al quotidiano Avvenire. Dopo tre mesi da primo collaboratore del Papa, il presule vicentino affronta tutte le questioni all’ordine del giorno, dalla riforma della Curia al riposizionamento della Chiesa cattolica sullo scacchiere internazionale. Ma è sul rapporto tra Vaticano e politica italiana che Parolin si sofferma con particolare chiarezza. Stefania Falasca, la giornalista autrice dell’intervista, gli ha domandato quale sia la sua posizione circa la discussione assai presente “in ambienti ecclesiali” riguardo “la gestione dei rapporti con la politica italiana”: è una prerogativa della Cei o della Segreteria di stato? Mons. Parolin ha le idee chiare.

NESSUNO HA L’ESCLUSIVA DEI RAPPORTI CON LA POLITICA

“Un’indicazione forte è venuta da Papa Francesco, il quale, ricevendo i vescovi italiani nel maggio scorso, ricordava, tra i compiti della Chiesa in Italia, il dialogo con le istituzioni culturali, sociali, politiche. Non ritengo – ha aggiunto il segretario di stato – che tale indicazione significhi la negazione di un ruolo della Santa Sede e che nessuno, Segreteria di Stato o Cei, debba o possa rivendicare in esclusiva i rapporti con la politica italiana”. Ciò che si deve fare, ha spiegato ancora Parolin, “è procedere in sinergia, nel rispetto delle rispettive competenze, come avviene negli altri Paesi del mondo, attraverso le nunziature. La formula vincente è la collaborazione, attraverso la quale si potrà contribuire efficacemente al bene comune, che è l’aspirazione sincera della Chiesa nei confronti del Paese”.

IL COMPITO DEI LAICI

Ma non è tutto, perché l’ex nunzio in Venezuela ha anche ricordato un aspetto troppo spesso ignorato: “Come afferma il Concilio Vaticano II, l’animazione cristiana dell’ordine temporale è compito specifico dei laici”. Un’affermazione che il vaticanista Andrea Tornielli definisce sul suo blog “significativa quanto dimenticata”. Il perché è presto spiegato: “Da molti anni ormai anche i laici cattolici impegnati in politica pendono letteralmente dalle labbra dell’autorità ecclesiastica, e cercano benedizioni e sostegno non soltanto su grandi e cruciali questioni di principio, ma anche su formule politiche e partitiche, nonché su candidature”.

LE SCHERMAGLIE BERTONE-BAGNASCO

Dalle parole di mons. Parolin emerge la volontà di rimettere ordine a una situazione che negli anni aveva visto anche molti momenti di tensione tra segreteria di Stato e Cei. Se Giovanni Paolo II aveva demandato completamente alla conferenza episcopale guidata da Camillo Ruini i rapporti con la politica italiana, nel 2007 Tarcisio Bertone spedì una lettera ad Angelo Bagnasco – nel frattempo succeduto a Ruini – in cui avocava alla segreteria di Stato la gestione delle relazioni con il mondo politico. Una mossa che creò ben più di un mal di pancia e che non ha mai avuto una piena attuazione, soprattutto per le forti resistenze della Cei. A maggio, poi, durante la professione di fede in San Pietro con l’episcopato italiano, Papa Francesco aveva detto – parlando a braccio – che il compito di rapportarsi alle istituzioni civili, politiche e culturali è “vostro”, dei vescovi.

LA RIFORMA DELLA CURIA

Quanto alla riforma della Curia, il segretario di Stato spiega che l’obiettivo è quello di “renderla uno strumento agile e snello, meno burocratico e più efficace, al servizio della comunione e della missione della chiesa nel mondo di oggi, che è profondamente cambiato rispetto al passato”. Sostanzialmente, si tratta di farne “uno strumento a servizio della chiesa universale e delle chiese particolari”. La Segreteria di Stato, “essendo l’organo che coadiuva da vicino il Sommo Pontefice nell’esercizio della sua suprema missione, dovrà assumere con cordiale e totale disponibilità la conversione pastorale proposta da Papa Francesco”. Anzi, aggiunge mons. Pietro Parolin, “dovrà diventarne un modello per l’intera chiesa”.

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