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Perché l’egemonia del dollaro Usa è destinata a durare

Le teorie sui cicli di vita degli imperi – da Vico, a Kennedy, a Ferguson – hanno sempre evidenziato la stretta correlazione fra potenza economica e geopolitico-militare. Il declino degli imperi è stato preceduto dal loro indebitamento.

PRESTIGIO IN CALO
Una recente interessante pubblicazione dell’International Institute for Strategic StudiesAlan Wheatley (ed) “The Power of Currencies and Currencies of Power”, november 2013) si sforza di prevedere quando emergerà un ordine mondiale, che sarà multipolare, dato che il dollaro, base del potere mondiale degli Usa, perderà la sua centralità. È un’anomalia storica che non l’abbiano già perduto. Per la prima volta, domina nel mondo “potenza a debito”. Beninteso, il loro prestigio e soft power si sono attenuati per la crisi finanziaria, per le fallimentari politiche estere dei presidenti Bush e Obama e per la polarizzazione sulle ali estreme del Congresso e Senato americani. Essa rende impossibili decisioni bipartsan, riducendo l’affidabilità di Washington.

IL SUCCESSO AMERICANO
Il possesso di una moneta centrale per il commercio e le riserve internazionali (oltre che per i “fondi sovrani di ricchezza” e le commodities) e la continua crescita della richiesta di dollari hanno consentito agli Usa di “comprare” potere e ricchezza con costi minimi: quelli necessari per la stampa di banconote e di titoli di Stato. Non solo gli accordi di Bretton Woods, ma anche la realtà del sistema finanziario mondiale hanno conferito al dollaro una posizione privilegiata. Essa non è stata intaccata negli anni 1960 dall’introduzione dei “diritti speciali di prelievo”, basati su di un “paniere” di monete. Commercio, riserve e prezzo delle materie prime minerarie e agricole sono espressi in dollari. Ciò conferisce agli Usa un enorme potere d’influenza, esercitata anche tramite il sistema bancario americano dominante nel mondo.

IL POTERE DEL SISTEMA BANCARIO
Esso è in grado di bloccare l’accesso ai circuiti finanziari mondiali degli Stati colpiti da sanzioni statunitensi, canale critico per l’economia di tutti i paesi. Gli Usa utilizzano le sanzioni come la Gran Bretagna utilizzava la Royal Navy, nella sua “politica delle cannoniere”. La loro efficacia si è vista nell’indurre l’Iran al negoziato sul nucleare. Trent’anni fa, le manovre speculative – condotte con l’aiuto dell’Arabia Saudita – e rese efficaci dal dominio del dollaro fecero crollare il prezzo del petrolio, accelerando il collasso dell’Urss.
Tale posizione privilegiata del dollaro ha consentito agli Usa di accumulare un enorme debito, rifinanziandolo senza difficoltà ma “scaricando” sugli altri Paesi l’onere dei riequilibri, come avvenuto con il Giappone e come sta oggi avvenendo oggi a carico di taluni Brics e Mint, come il Brasile, l’Indonesia e la Turchia.

LA POTENZA MILITARE
Il privilegio che ha il dollaro consente agli Usa di finanziare un bilancio della difesa pari al 40% delle spese militari mondiali e d’intervenire finanziariamente a favore degli Stati la cui instabilità nuoce agli interessi americani. La potenza militare rafforza a sua volta la credibilità degli Usa e quindi del dollaro. La richiesta mondiale di dollari continua a crescere. Assieme allo shale gas e ai petroli non convenzionali, permetterà la leadership mondiale degli USA per i prossimi 25 o addirittura 50 anni. L’inevitabile attenuazione della centralità del dollaro non avverrebbe con un collasso improvviso. Verrebbe erosa in modo progressivo. Il posto del dollaro non verrebbe occupato da un’altra moneta – cioè dal renminbi/yuan cinese – ma dalla costituzione nelle varie regioni geopolitiche da aree monetarie, che adottano la moneta dello Stato prevalente nella singola regione. Secondo uno degli autori del saggio – Robert Zoellick, ex-presidente della Banca Mondiale – tale sistema dovrebbe essere meglio in grado di correggere la principale carenza dell’attuale: quella di non correggere gli squilibri commerciali internazionali.

PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA
Le previsioni ottimistiche sulla continuazione della prevalenza del dollaro sono suffragate dall’analisi dei punti di forza e di debolezza del suoi possibili sfidanti: l’euro e il renminbi. Rimarranno monete soprattutto regionali, pur entrando a far parte del “paniere” di monete rilevanti globalmente. Non è probabile possano sostituire il dollaro. Una nuova Bretton Woods anti-dollaro provocherebbe una reazione brutale degli Usa, che non accetteranno mai di veder scomparire i privilegi di cui godono. Inoltre, l’euro è una moneta senza Stato e senza esercito: Il fortissimo avanzo commerciale della Germania non basta. Occorrerebbe una certa comunitarizzazione dei debiti sovrani europei. Vale l’affermazione di Robert Mundell: le grandi potenze hanno grandi monete, ma è nella storia si è sempre verificato anche il contrario, che ogni grande moneta necessita di una grande potenza. Gli “Stati Uniti d’Europa rimangono una chimera”. Lo stesso vale per l’importanza mondiale dell’euro.

I DUBBI SULLA MONETA CINESE
Per la Cina le cose sono differenti. Il renminbi sta divenendo la moneta di scambio con i Paesi africani e sudamericani, che soddisfano l’enorme fame cinese di materie prime. La sua espansione nel Sudest asiatico è contrastata per i sospetti dei Paesi dell’area verso Pechino. Temono che lo usi per scopi politici. L’internazionalizzazione della moneta cinese presuppone la sua liberalizzazione. Secondo taluni, quest’ultima farebbe parte delle riforme previste dalla nuova dirigenza cinese. I più ritengono però che non potrà essere attuata. Darebbe infatti un duro colpo al potere di controllo del Partito Comunista Cinese. D’altronde, la storia mostra come le monete mondiali siano state solo quelle delle grandi democrazie.

IL DOMINIO DEL DOLLARO
Insomma, gli autori del saggio affermano la permanenza dell’attuale dollar standard. Il dollaro rimarrà ancora a lungo la moneta dominante. Continuerà a finanziare la centralità degli USA anche nel nuovo ordine mondiale, attirando il risparmio dal resto del mondo e rendendo sostenibile il doppio disavanzo Usa: commerciale e di bilancio. È la soluzione tutto sommato auspicabile, per un’Europa che ha cessato di crescere e che diventa sempre più vecchia.

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