Nel ‘’giorno dei Santi Crispino e Crispiniano’’ del Partito democratico mi è capitato di seguire di tanto in tanto la ‘’diretta’’ de La 7.
Più volte mi sono chiesto se tutto questo impegno mediatico dipendesse da una circostanza tragica: come se Enrico Letta fosse caduto in una buca a Vermicino e fosse in corso la disperata opera di recupero. Invece no. Nella buca lo stavano spingendo proprio i suoi compagni di partito, confermando così il sopravvento delle radici democristiane nel dna dei democrat.
Ai tempi della Balena bianca, dopo un congresso cambiava sempre il presidente del Consiglio e il direttore del Tg1 (quello attuale è pre-avvisato). Ma allora c’erano molto più stile e meno arroganza. Il premier sconfitto se ne andava perché questa era la regola; l’altro subentrava perché aveva vinto, ma non si sarebbe mai sognato di criticare l’azione di governo del predecessore o di pretendere di essere migliore di lui.
Tutto ciò premesso, sarò senza dubbio un vecchio divenuto conservatore (infatti, rimpiango le Province, il bicameralismo perfetto, il voto proporzionale, il finanziamento pubblico ai partiti) ma a me questa nouvelle vague fa venire l’itterizia. Sempre ieri, facendo zapping, mi sono intrattenuto ad ascoltare una lunga intervista a Davide Faraone (responsabile del welfare in quella scuola materna che ha sede in Largo del Nazareno), il quale deve essere stato il primo a stupirsi del tempo che gli veniva riservato. Le sue parole, tuttavia, mi hanno fatto capire meglio i motivi di contrasto tra il Pd di Renzi ed il governo Letta.
Faraone ha fatto delle affermazioni molto precise: il governo aveva delle caratteristiche troppo ‘’tecniche’’ come se fosse una prosecuzione del precedente esecutivo presieduto da Mario Monti; il Pd non era più in grado, soprattutto in vista delle elezioni europee ed amministrative, di condividerne le politiche – ancora troppo orientate al rigore e al risanamento – e di difenderle con la propria base e con l’elettorato. In sostanza il governo metteva in imbarazzo il partito.
Ovviamente questi ragionamenti – tutto sommato franchi e lucidi – vanno a sbattere contro il rapporto dell’Italia con l’Unione europea, riproponendo una volta di più il quesito che ci portiamo appresso da anni e che sarà al centro delle elezioni per il Parlamento europeo, non solo nel nostro Paese. Quella del risanamento è stata una delle tante politiche possibili, per giunta rivelatesi sbagliata alla prova dei fatti oppure era è rimane priva di valide alternative, anche ai fini di promuovere la crescita?
Chi scrive è di quest’ultimo avviso, non solo sulla base di convenzioni personali, ma osservando la realtà sotto i nostri occhi. I Paesi che hanno sviluppato politiche di rigore più severe delle nostre (Spagna, Portogallo, Irlanda, persino la Grecia) stanno tornando a crescere prima e più intensamente di noi. Pertanto, la politica del governo Monti non merita le critiche che le vengono rivolte ed è certamente un merito di Enrico Letta (dei ministri economici Fabrizio Saccomanni e di Enrico Giovannini, in particolare) quello di essersi mossi in continuità con la precedente esperienza dei ‘’tecnici’’ senza farsi sorprendere dalle tentazioni di smontare le riforme del ministro Fornero che serpeggiavano nella maggioranza.
Se il cambiamento significa – come suggerisce anche Romano Prodi – prendere le distanze dalla Ue, il risultato – visti gli impegni sottoscritti dall’Italia – non potrà che essere quello di finire sotto la tutela della trojka in breve tempo.
Sinceramente ci auguriamo che il progetto di Matteo Renzi fallisca, che la situazione precipiti e che si vada a votare insieme alle europee con quello scampolo di legge elettorale proporzionale che la Consulta ha indicato.
Se il destino ci aiutasse a seppellire l’attuale martoriato bipolarismo inconcludente e plebeo nell’ambito di un sistema elettorale proporzionale (ancorchè dotato di una soglia adeguata di accesso per evitare la frantumazione), potrebbe prendere corpo, consistenza e forza una coalizione di centro capace di unire una parte importante dello schieramento politico (Ncd, Udc, popolari, Sc ed altri minori) con un pezzo del Pd magari guidato da Enrico Letta, non tanto come rivalsa per il trattamento ricevuto, quanto piuttosto per contrasto con un Partito democratico che si incammina sulla strada dell’avventura antieuropea.
Intanto il dibattito all’interno del Pd ricorda una vecchia sceneggiata delle Sorelle Bandiera, tre travestiti ante litteram, che contavano una canzoncina intitolata ‘’Fatti più in là”. Diciamo la verità: dalla riunione della direzione Pippo Civati, nonostante la bassa statura, è uscito come un gigante.