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Perché non sono renziano. Parla lo storico fiorentino Franco Cardini

Mancano poche ore all’insediamento del governo di Matteo Renzi. Uno scenario che alimenta riflessioni, analisi, interrogativi. L’opzione del leader del Partito democratico per la creazione di un “esecutivo riformatore” privo del passaggio elettorale ha provocato sconcerto e critiche in una larga parte dell’opinione pubblica che aveva accolto con entusiasmo le sue campagne per le primarie 2012 e 2013.

Per capire quali prospettive attendono l’ex sindaco di Firenze e quali saranno i riflessi dei suoi repentini cambiamenti di lineaFormiche.net ha interpellato il fiorentino Franco Cardini, il più prestigioso studioso di storia medievale nel nostro Paese e spirito critico di “una modernità occidentale distruttiva delle identità culturali e religiose e di un predominio finanziario incontrollato ostile alla costruzione di una patria europea”.

Nutre fiducia nel tentativo portato avanti da Matteo Renzi?

No. Ci troviamo di fronte a una classe politica che punta a tutelare se stessa, anche a costo di scatenare una guerra per bande. Allo stesso tempo vuole rimettersi in sintonia con il sentire diffuso di una società che la bolla come corrotta e corruttrice pur non essendole superiore sul piano della moralità civile. Ma le riforme solennemente preannunciate accentueranno una deriva oligarchica. La legge elettorale all’esame del Parlamento disegnerà la composizione delle Camere con la stesura di graduatorie decrescenti di persone gradite alle segreterie partitiche. Rispetto alla Camera dei fasci e corporazioni del 1939 cambia solo il numero dei vertici che nominano i rappresentanti.

Perché il segretario del PD ha congedato il governo Letta per formare un nuovo esecutivo senza tornare alle urne?

Tutti vivono il timore di nuove elezioni. Per riconquistare l’opinione pubblica le forze politiche hanno ricercato un accordo con i poteri forti economici e mediatici. Lo stesso Enrico Letta è andato a Milano a trattare con l’élite finanziaria sull’Expo 2015 consapevole del tramonto della propria esperienza a Palazzo Chigi. E la notizia dell’avvicendamento è stata vissuta dalla Borsa senza scossoni. Vi era necessità di trovare una persona brillante e ambiziosa, che ha ben operato da presidente di provincia e da sindaco finché ne ha avuto la voglia, rivelandosi un efficace picconatore del PD. Adesso i media ci vogliono persuadere che l’Italia e il Partito democratico, che in gran parte non tollera Renzi, sono con lui. L’unico motivo di un così vasto consenso è nella spinta del ceto politico all’auto-conservazione. E il mio concittadino ha dovuto prenderne atto, apparendo come colui che ha “fatto le scarpe a Letta”.

Il premier in pectore promette rottura e slancio riformatore.

Renzi non potrà contare su una legittimazione popolare conclamata. Il suo compito è persuadere i poteri forti italiani che bisogna in qualche modo attutire la caduta libera del nostro paese sul piano economico e sociale. Ma le sue ricette sono fallimentari: liberismo galoppante, poca esperienza in politica estera tranne qualche pronunciamento filo-atlantico. Non mi fido del suo entourage con troppi incapaci innamorati del leader. E vedo molti profittatori che vogliono arrivare a corte.

Il suo governo non ha l’orizzonte di una legislatura?

Il segretario del PD è in equilibrio sull’onda della straordinaria popolarità che ne ha caratterizzato le prime campagne. Se in pochi mesi non riesce a produrre risultati tangibili, la popolarità si trasformerà in delusione e odio politico. Sentimenti che lui stesso ha seminato, creando molti nemici che lo attendono al varco.

Quali iniziative dovrebbe intraprendere?

Le strade per far ripartire l’economia sono due: ridurre il costo del lavoro tagliando e azzerando lo Stato sociale a danno dei lavoratori dipendenti, o imporre sacrifici sui profitti di imprenditori e azionisti. Alla luce della profonda ostilità di Confindustria e del suo profilo liberista, opterà per la prima soluzione. L’unica speranza è che si riveli uno straordinario incantatore di serpenti come ha fatto finora e che offra l’impressione di essere leader di un cambiamento programmato. Deve calarsi nel ruolo di attore consumato. E scegliere le persone adatte per governare. Ma i nomi che circolano non sono attraenti né innovativi.

Renzi aspira a guidare le nomine dei vertici in scadenza delle aziende di Stato?

Senza dubbio. La sua voglia di protagonismo in una partita così delicata rientra negli assegni che ha firmato quando la sua ascesa al potere era probabile. Le sue promesse ai tanti che gli hanno offerto appoggio prevedevano l’attribuzione di posti e poltrone.

Una scelta così controversa farà risorgere Silvio Berlusconi e Forza Italia?

La classe politica e la società civile italiane hanno capacità miracolistiche. Berlusconi, che conserva una forte attrazione nelle persone, l’hanno fatto risorgere spesso. E oggi il Cavaliere può denunciare gli innumerevoli errori compiuti negli ultimi vent’anni senza risultarne il principale responsabile. Renzi rischia così di assumere le colpe per le riforme mancate dal 1994 ad oggi, compresi i bombardamenti NATO su Belgrado, le guerre disastrose in Iraq e Afghanistan, il debito pubblico abnorme. È un gioco crudele, ma sono le regole di tutte le democrazie politiche.

La riforma elettorale può favorire la costruzione di un grande polo conservatore, popolare, nazionale e comunitario?

Non ne vedo gli spazi. Il popolo che potrebbe costituire la rinascita del centrodestra è così organizzato: un terzo, portatore di un “berlusconismo etico” misterioso come quello del valdese Lucio Malan, crede tuttora nel Cavaliere e pensa che sia una vittima; un terzo, vagamente cattolico e conservatore, amante della legge e ordine, visceralmente anticomunista e timoroso dell’Islam, può fare a meno di Berlusconi e ad esso guarda Renzi per compensare la perdita dei voti di sinistra; un terzo è composto da segmenti rabbiosi attratti dalla sirena di Beppe Grillo. Sinceramente non penso che saranno gli amici di famiglia di Giorgia Meloni a far rinascere la destra.

L’ex sindaco di Firenze vuole “rottamare” anche il Capo dello Stato?

Giorgio Napolitano aveva puntato su una figura stimabile e preparata del centrosinistra come Enrico Letta. Una scelta ragionevole, che aveva unito la quasi totalità della classe politica sfiduciata nel voto del 2013, ma che si è rivelata fallimentare. Errori, contraddizioni e debolezze dell’esecutivo Letta, frutto di un’iniziativa presidenziale legittima, sono ricadute sul Quirinale. Con Renzi il Capo dello Stato si è trovato di fronte a un fatto compiuto e nel conferirgli l’incarico di governo “inghiotte il rospo”. È un colpo alla sua figura di mediatore. Il potere di Napolitano, lo rilevo con dispiacere per il mio spirito legalitario, risulta appannato. Con un vantaggio però.

Quale?

Adesso potrà rientrare nell’ordinaria amministrazione presidenziale di una Repubblica parlamentare. Riprenderà le vesti di controllore della legalità democratica abbandonando il protagonismo politico-istituzionale che nel nostro ordinamento è sempre rischioso e controverso. E lo dico confermando che egli non ha mai tracimato dal perimetro delle sue competenze.



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