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Vi spiego perché Bruxelles vaneggia nel bacchettare l’Italia sul Pil

Il quadro macroeconomico delle previsioni invernali della Commissione Europea fornisce lo scenario di riferimento in cui il nuovo Governo deve muoversi.

Non si tratta di un quadro entusiasmante, ma lo si sapeva: la ripresa è modestissima e non riguarda il mercato del lavoro. La disoccupazione nel 2015, dopo due anni di rialzi del PIL, sarà ai livelli del 2013.

Le cifre di finanza pubblica sono marginalmente migliori di quelle dello scorso autunno, ma non tali da fare rientrare i motivi che portarono la Commissione a dare, a novembre, parere negativo sulla legge di stabilità. La richiesta quindi di procedere ad un aggiustamento strutturale nella misura richiesta, per poter usufruire dei margini di flessibilità di cui ci siamo appropriati con la legge di stabilità rimane dunque sul tavolo. Stiamo parlando di qualcosa come 3 miliardi che l’Italia dovrebbe tagliare per poi poterli spendere come maggiori investimenti pubblici.

La crescita non c’è perché manca la domanda, non l’offerta. Questo fatto non è considerato dalla Commissione la cui unica raccomandazione si esaurisce, come sempre, in due parole: riforme strutturali.

Le riforme strutturali sono necessarie, ma da sole sono del tutto inadeguate a ridare fiato all’economia. La partita per avere maggiore domanda da qualche parte, in Europa e in Italia, rimane molto complessa


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