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Non c’è solo la trasparenza delle lobby in Europa

Studiare il lobbying in Europa è esercizio affascinante. E complesso. Talmente complesso che si rischia di commettere errori banali. Uno su tutti: guardare al fenomeno della trasparenza con i paraocchi, pensandola come se fosse pertinenza esclusiva dei rapporti istituzioni-imprese, e dimenticando, al contrario, che è un tema molto più ampio. Provate a fare una ricerca su Eur-Lex, il portale del diritto europeo: la parola trasparenza apparirà 14095 volte (638 se si considerano solo i titoli dei documenti). La trasparenza ricorre nei Trattati, nei codici di condotta amministrativa, nel regolamento sull’accesso agli atti e nelle linee guida che dettano l’azione delle agenzie. Per questo la trasparenza del lobbying, da sola, non significa nulla. è necessariamente legata a quella dell’azione amministrativa, che a sua volta influenza i rapporti con la società civile, e con l’attività politica delle diverse istituzioni.

Un caso emblematico è quello della Commissione. Qui le norme sulla trasparenza intervengono su tre aree principali. La prima, e più importante, coincide con l’esercizio delle funzioni amministrative. La seconda riguarda l’attività politica. La terza, infine, include i rapporti tra la Commissione e i soggetti esterni. Vediamole brevemente:

(1) la trasparenza delle funzioni amministrative: Le disposizioni sulla trasparenza dell’attività amministrativa della Commissione sono contenute nel codice di buona condotta amministrativa e nello statuto dei lavoratori europei. Il codice di buona condotta amministrativa, adottato il 13 settembre 2000, non menziona espressamente la trasparenza tra i principi di base che guidano l’attività dei funzionari. Elenca però una serie di doveri in capo a costoro allo scopo di garantire l’accesso alle informazioni da parte di soggetti terzi (le norme si soffermano in particolare sui tempi e sulle modalità di risposta da parte delle strutture amministrative). Lo statuto dei lavoratori europei (che si applica a tutte le istituzioni, non solo alla Commissione) contempla l’obbligo di trasparenza nelle procedure di reclutamento e assunzione, sia per i funzionari di ruolo che per quelli contrattuali.

(2) la trasparenza dell’attività politica: Il punto di riferimento della trasparenza dell’attività politica è il Codice di condotta dei Commissari europei. Questo prevede, anzitutto, l’obbligo di pubblicazione online di tutti gli interessi e delle attività complementari all’esercizio della funzione di Commissari (e potenzialmente in conflitto con quella. Impone, inoltre, la trasparenza di tutte le informazioni finanziarie (lo stato patrimoniale al momento dell’assunzione dell’incarico, gli emolumenti percepiti, la buonuscita e i diritti pensionistici a conclusione del mandato). Al tempo stesso, ciascun Commissario è ritenuto responsabile della disclosure dell’attività della Direzione generale alla quale è preposto. Risponde cioè in prima persona dell’omessa o carente diffusione delle informazioni circa l’attività amministrativa e lo stato dei propri collaboratori.

(3) la trasparenza dell’attività lobbistica: L’ultimo strumento attraverso il quale la Commissione garantisce la trasparenza del proprio operato riguarda, appunto, i rapporti con i soggetti terzi, e in particolare con le imprese. È istituito a questo scopo un apposito registro per la trasparenza. Compito di quest’ultimo è di tracciare, e rendere conoscibile, l’attività lobbistica esercitata dai gruppi di pressione nei confronti delle istituzioni europee. Originariamente esistevano due registri separati, uno per il Parlamento, operativo dal 1996; l’altro per la Commissione, istituito qualche anno più tardi, nel 2008. A seguito dell’accordo inter-istituzionale siglato il 22 luglio 2011 c’è un solo registro condiviso. Sappiamo che l’attuale registro rappresenta un traguardo importante ma, a detta di molti, insufficiente. L’ultimo aggiornamento del registro risale a febbraio 2014. In tutto sono censiti 6231 soggetti, di cui 761 agenzie di consulenza, 3096 associazioni di categoria o professionali, 1608 organizzazioni non governative, 441 istituti accademici e di ricerca, 37 organizzazioni rappresentative di chiese e comunità religiose, 288 organizzazioni di rappresentanza di enti territoriali o pubblici. La mappatura ha però un valore solo indicativo. L’iscrizione al registro è, infatti, rimessa alla facoltà dei portatori di interessi. Le sanzioni previste in caso di mancata iscrizione, o in caso di omessa indicazione di informazioni rilevanti (ad esempio il budget impiegato per l’attività di lobbying o l’agenda degli incontri con le istituzioni) sono applicate raramente. Per questo motivo le principali organizzazioni della società civile interessate al tema della trasparenza insistono affinché l’iscrizione al registro sia resa obbligatoria e il regime di sanzioni sia più severo.

Fermiamoci qui. Si potrebbe continuare a lungo con le altre istituzioni, ma il caso della Commissione è sufficiente. Vista nel suo insieme la trasparenza del lobbying diviene un tassello di un’azione amministrativa e politica molto più complicata. Per questo pretendere modifiche settoriali è (come fanno molte organizzazioni di attivisti) spesso inutile, o addirittura controproducente. Come anche è inutile fare crociate ideologiche sui dati aperti. La battaglia della trasparenza in Europa si combatte da almeno 30 anni. Ed è fatta di piccoli passi. E, francamente, l’impressione è che ne manchino ancora molti prima che si possa dire conclusa.

 

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