Il parlamento regionale della Crimea ha deciso di complicare la vita a tutti, e di aggravare la crisi, votando a favore dell’integrazione della penisola nella Russia, e annunciando un referendum confermativo per metà marzo, a condizione naturalmente che Vladimir Putin e la Russia dichiarino il loro accordo.
Ciò mette Putin in difficoltà perché pone indirettamente il problema delle altre regioni dell’Ucraina a maggioranza russofona, obbliga il governo di Kiev a reagire e rende più difficile la soluzione della crisi che sembrava delinearsi con il “soffice” ultimatum europeo alla Russia, che offriva a Mosca la foglia di fico di un “gruppo di contatto” per decidere assieme del futuro dell’Ucraina.
GUERRA FREDDA
Molte cose possono quindi ancora andare male e obbligarci ad una sorta di nuova “guerra fredda”. I nazionalismi contrapposti dei militanti russi ed ucraini non sono facili da gestire e possono sempre provocare un pasticcio insanabile. D’altro canto anche Putin potrebbe decidere che il compromesso offertogli è insufficiente, o il Consiglio europeo potrebbe veder dissolversi quell’unione apparente di intenti che si è sinora coagulata attorno all’iniziativa tedesca.
E infine, tanto per completare il quadro del “caso peggiore”, una grossa crisi potrebbe scoppiare in qualsiasi momento nel Golfo o nel mar della Cina, rimescolando tutte le carte.
Tuttavia, in questo momento, a bocce ferme, e malgrado la grave provocazione della Crimea, la possibilità che la crisi ucraina possa cominciare a rientrare nei binari della normalità sembra ancora forte. Le cose ancora da decidere – quale status dare alla Crimea, come formalizzare i rapporti tra Ue e Ucraina, come regolare il triangolo Ue-Ucraina-Russia – occuperanno a lungo il tempo e l’ingegno di numerosi negoziatori, ma il rischio di uno scontro aperto al centro dell’Europa sembrerebbe recedere.
RUSSIA PERDENTE?
Se così fosse, ancora una volta, il perdente sarebbe la Russia, anche se dovesse assicurarsi un qualche controllo sulla Crimea e un qualche “droit de regard” sull’Ucraina. Comunque si rigiri la situazione, infatti, il “grande disegno” attribuito a Putin di ricostituire un grande spazio strategico, politico ed economico sulle terre dell’ex-Urss, con al centro Mosca, sarebbe fallito, perché non riuscirebbe ad includere l’Ucraina oltre a buona parte del Caucaso, alla Moldova e, ovviamente, alle tre repubbliche baltiche che già sono parte dell’Ue e della Nato.
In altri termini la Russia non avrebbe “clientes” europei, a parte la Transnistria, l’Armenia e forse la Biellorussia (ma per quanto ancora? Persino Lukaschenko, il padre padrone di Minsk, deve essere rimasto scosso e preoccupato per il trattamento sprezzante riservato da Putin all’ex-presidente ucraino Viktor Ianukovich).
Le ragioni di questa possibile sconfitta non sono ancora chiare, ma si possono fare alcune ipotesi. In primo luogo la crisi finanziaria ucraina, che minaccia soprattutto le banche e l’economia russa: a salvare il salvabile è dovuto intervenire con una sua dichiarazione il Fondo monetario internazionale (Fmi), ed ora potrebbero arrivare, se approvati, gli aiuti dell’Ue, ma questo significa che Mosca, oltre ad aver perso uno strumento di pressione, deve anche stare attenta a non aggravare una crisi che le farebbe molto male.
In secondo luogo, l’ipotesi di annettersi la Crimea ha lo svantaggio di aprire il vaso di Pandora delle altre regioni russofone dell’Ucraina: come dire loro di no? E se invece la Russia si imbarcasse in questo smembramento dell’Ucraina, malgrado i solenni impegni internazionali presi nella opposta direzione, come potrebbe evitare l’isolamento, la ghettizzazione e le inevitabili sanzioni?
Non basterebbe certo Gazprom a salvarla e la sua ambizione di ridiventare una grande potenza si allontanerebbe. Addio Europa, il futuro incerto di Mosca si giocherebbe solo in Asia, in un rapporto certo non facile né evidente con la Cina, vera grande potenza globale emergente.
In terzo luogo una simile operazione di smembramento e annessione porterebbe in Russia anche molti problemi economici e politici, incluse nuove minoranze agguerrite e ferocemente contrarie al governo di Mosca. Un cavallo di Troia?
SE LA CRISI RIENTRA
Mettiamo dunque che la crisi finisca come vorrebbe l’Ue. Cosa accadrà poi? Sul fronte russo, un Putin insoddisfatto e frustrato sarebbe sempre più convinto della esistenza di un grande complotto occidentale per favorire in ogni occasione i mutamenti di regime; una strategia che, agli occhi di Putin, non può che mirare, a breve o lungo termine, a Mosca. Sarà possibile instaurare con il Cremlino un rapporto più equilibrato e comprensivo? Sinora l’Occidente non ha compiuto grandi sforzi in questa direzione, ed è un peccato.
Sul fronte europeo, l’Ue è oggi più tedesca di ieri, anche in senso politico, e non solo finanziario, e questo non piace molto alla Francia, che però non ha alternative, soprattutto perché il Regno Unito è divenuto sostanzialmente un “non-attore” europeo, privo di idee e di politiche.
Ciò potrebbe aprire qualche spazio per paesi come l’Italia, la Spagna, la Svezia o la Polonia, ammesso che abbiano qualcosa di proporre.
Certamente un’Europa che riuscisse a risolvere la crisi ucraina utilizzando l’appoggio americano, ma di fatto prendendo l’iniziativa, deve poi riuscire a restare all’altezza delle aspettative che suscita, sia ad Est che a Sud, ma per far questo ha bisogno di mobilitare grandi risorse e di uscire dallo schema riduttivo in cui si è rinchiusa durante la crisi economica.
È una grande sfida cui non sembriamo molto preparati, ma che difficilmente potremo evitare, specie se, in questa occasione, avremo successo.
Stefano Silvestri è direttore di Affarinternazionali e consigliere scientifico dello IAI.