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Chi è Petro Poroshenko

Se uno dei simboli delle proteste di Maidan come l’ex campione mondiale dei pesi massimi Vitali Klitschko, ha scelto di ritirarsi dalla corsa alla presidenziali – alle quali era candidato ad honorem – per lasciar spazio a Petro Poroshenko, un motivo dev’esserci. E senza cercare altrove, sta nella forza elettorale – ed economica – del “re della cioccolata” ucraina.

I sondaggi lo danno in ampio vantaggio rispetto agli altri possibili contender: 24,9 per cento, stando agli ultimi rilevamenti effettuati sul Comitato dei votanti e pubblicati dai vari media internazionali. Dietro di lui, l’unica che regge botta è Yulia Tymoshenko con un consenso che si ferma intorno al 9 per cento. Il vice premier Sergij Tihipko, ex uomo del Partito delle regioni (quello di Yanucovich e dell’ex primo ministro Azarov) in rotta col partito, viaggia intorno al 4,5 come indipendente. Sul candidato ufficiale del Por, l’ex governatore di Kharkiv, il russofono di origini ebraiche Mykhailo Dobkin, non ci sono ancora dati ufficiali, visto che la candidatura è stata definita solo sabato 29, ma non ci si aspettano grandi numeri. Le parti di ultradestra sono ancora sotto: Tyahnybok di Svoboda all’1,7%, Settore destra (che vorrebbe candidare il leader politico Yarosh, dopo la morte di quello combattente Olexander Muzychko) è data allo 0,9% – con buona pace della narrazione russa, secondo cui dietro alle manifestazioni c’era la mano dei nazisti/fascisti (a proposito: sulla storia dei cecchini armati dai gruppi nazionalisti e non dal governo, c’è un’altra importante documentazione di smentita raccolta dal Daily Beast).

Klitschko era dato a qualcosa meno del 10 per cento, ragion per cui è pensabile che le percentuali di Poroshenko saliranno ancora dopo la rinuncia dell’ex pugile in appoggio al magnate del cioccolato – magari in cambio di un aiuto nella corsa a sindaco di Kiev.

Ma chi è l’uomo che probabilmente uscirà vincitore dalle urne del 25 maggio?

Petro Poroshenko ha 48 anni, ed è a tutti gli effetti uno di quelli che possono essere definiti oligarchi: l’unico del suo genere – e in Ucraina non mancano di certo – ad aver apertamente sostenuto (e finanziato) le proteste di piazza.

Politicamente è conosciuto come un centrista, e come tale è stato membro dei governi filo-europeisti di Yushenko (ministro degli Esteri, 2009) e di quello filo-russo di Yanucovich (ministro per lo Sviluppo economico e il Commercio, 2012). La definitiva scelta delle posizioni anti-russi, arriva anche per necessità: la sua azienda, la Roshen (nota per la cioccolata, le merendine e le caramelle), nel mese di luglio 2013 ha subito una sorta di embargo commerciale dalla Russia – principale, se non unico, mercato di esportazione. Il motivo, sarebbe stato la mancanza dei requisiti igienici dei prodotti: tradotto, al Cremlino non piacevano le posizioni pro-Europa prese dal capo – e dal governo Azarov insieme al presidente Yanucovich. Guarda caso, erano i mesi che precedevano la firma dell’accordo di Vilnius (fine novembre) tra Ucraina e Unione Europea, e proprio Poroshenko era uno di quelli che ci stava lavorando più intensamente. In quelle settimane, la propaganda russa cominciava a passare attraverso le reti televisive – molto seguite in Ucraina. Quasi non c’era giorno che il consigliere presidenziale Sergei Glazyev (tra i sanzionati al secondo giro), non concedesse interviste in cui sosteneva che entrare nell’Unione europea avrebbe significato perdere lavoro: poi però alla fine, gli unici che persero sul serio il posto furono alcuni lavoratori della Roshen, che visto il drastico blocco delle esportazioni per colpa di Mosca, si era trovata a gestire gli esuberi.

Non era di certo la prima volta che la Russia affrontava le questioni diplomatiche passando dagli scaffali dei supermercati: prima era toccato a alle aringhe e al latte baltico, al vino moldavo, all’acqua minerale georgiana, e alle cosce di pollo made in Usa, con il Rospotrebnadzor (il servizio di tutela dei consumatori) che ha finito per assumere un ruolo in politica estera. In questi giorni, l’argomento è tornato di moda, perché dopo la riapertura della commercializzazione dei prodotti Roshen – guarda caso, di nuovo, appena saltato il tavolo di Vilnius – una fabbrica della società a Lipetsk (Russia meridionale), è stata fatta chiudere senza apparenti motivi con un blitz delle teste di cuoio di Mosca.

Tuttavia, nonostante il suo successo imprenditoriale e i suoi vari ruoli politici (è stato anche alla guida della Banca centrale), prima delle proteste – e di quella volta  che salì sopra un escavatore per bloccare un manifestante fuori controllo che si stava per scagliare, a suo rischio, contro le linee della polizia – Poroshenko non era un uomo molto conosciuto. Scrive il New York Times che il suo modo posato può essere parte stessa del suo appello, in un paese in cui la rappresentanza politica si distingue per essere «sgargiante e chiassosa» e in cui la gente non cerca «ulteriori cambiamenti drammatici». Poroshenko cura le parole, parla misuratamente, spesso scivola in tecnicismi monotoni: poche grida.

Il capo di Roshen assicura di sapere la strada da intraprendere per ricostruire il Paese, partendo da un nuovo clima per gli investimenti – e ci sarebbe da dire, che l’esperienza non manca: oltre all’industria di dolciumi più grande della regione, nel suo portafoglio figurano anche grosse proprietà agricole, aziende di automobili e trasporti, il cantiere navale di Leninska Kuznya, e la rete Kanal 5. Il programma si basa sulla tolleranza zero verso la corruzione – un problema che con gli anni di Yanucovich è diventato endemico: le stime dei soldi sottratti dal sistema di gestione del potere allo stato, hanno raggiunto i 70 miliardi e dalle indagini escono tesori dalle case degli ex ministri. E poi la ricostruzione di un sistema giudiziario credibili: argomenti che potrebbero essere in contrasto con la posizione di un uomo che ha creato il suo impero, a cavallo tra economia e politica – sebbene il suo nome, sia rimasto sempre abbastanza fuori dal pantano degli scandali.

Inutile dire che la moderazione, la volontà di ricercare il colloquio tra est e ovest, la spinta modernizzatrice delle sue visioni economiche, hanno attratto l’interesse dei paesi occidentali: la scorsa settimana si è incontrato con il primo ministro britannico David Cameron, e c’è chi dice che i 18 miliardi di aiuti del Fondo monetario internazionale, siano arrivati con sopra il suo nome come garanzia.

Secondo diverse analisi, le azioni russe in Crimea, avrebbero portato i filo-russi a raggrupparsi verso Mosca, creando comunque una reazione analoga tra gli ucraini e indebolendo la possibilità di un’integrazione definitiva: ragion per cui, la possibilità di vittoria di chi appoggia esclusivamente le posizioni russe sono bassissime – sulla base di alcuni sondaggi, dopo l’invasione della penisola, soltanto il 20 per cento, dal 92 precedente, vedrebbe la Russia positivamente. Il ruolo di Poroshenko, allora può essere centrale: i pugni battuti sul tavolo contro l’ammassamento di truppe al confine e contro le proposte di federalismo avanzate da Putin, rifiutando interferenze sulle riforme costituzionali e sui sistemi di governo da adottare dall’Ucraina, si bilanciano con la moderazione e la ricerca di dialogo che hanno accompagnato la sua carriera.

Ma per vincere, come si è detto, avrà bisogno di far superare alla popolazione la diffidenza, nei confronti di chi “si è comprato la propria strada”, facendo conciliare gli affari con il governo – le fabbriche dolciarie, furono rilevate da Poroshenko nei primissimi anni ’90 a un prezzo stracciato, all’interno di quel processo di privatizzazione difettosa che ha contraddistinto i paesi del blocco ex sovietico.


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