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Ormai le azioni di Putin in Crimea sono passato: il futuro?

Le truppe russe hanno proceduto a terminare la riassegnazione del controllo all’interno di numerose basi e centri militari in tutta la Crimea. L’operazione iniziata qualche giorno fa dalla sede dello stato maggiore delle Marina a Sebastopoli – che aveva portato al rapimento e successivo rilascio dell’alto ufficiale Sergiei Gaiduk, comandante delle flotta ucraina – si sta concludendo: circa 16 mila militari (sui 18 mila totali) hanno scelto tra le due opzioni concesse, quella di cambiare uniforme, e la bandiera russa (la croce di Sant’Andrea, simbolo della flotta del Mar Nero) è stata issata anche sulla maggior parte delle unità navali (54 su 67). Ieri sera è stato intimato un ultimatum ai militari ucraini della base aerea di Belbek, con il quale è stato richiesto l’abbandono pacifico avvenuto nella mattinata odierna. Testimoni oculari hanno raccontato di un grande falò acceso dai militari restati nella base, per bruciare documenti sensibili da non lasciare in mano ai russi.

Per chi ha scelto l’altra delle opzioni, la fuga, è stato richiesto di lasciare il territorio ordinatamente, evitando inconvenienti di vario genere.

Intanto dovrebbero arrivare i primi 100 osservatori dell’Osce, secondo quanto comunicato dalla portavoce Tatyana Baeva: l’accordo è stato raggiunto nella serata di ieri. Mentre oggi diversi reporter locali raccontano di una corte di fumo nero che copre il cielo di Sebastopoli, ieri oltre a quello per l’ingresso dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, si sono siglati altri due importanti fogli. Putin ha di fatto firmato l’annessione della Crimea, passaggio formale accolto tra fuochi d’artificio e manifestazioni di piazza a Simferopoli. Il premier ucraino Yatseniuk ha invece siglato l’accordo di associazione con l’Unione Europea. Per capirci, si tratta dell’accordo che ha di fatto scatenato la gran parte delle proteste di piazza mesi fa, quando Yanucovich aveva rinunciato a quell’incontro di Vilnius, scendendo a patti con la Russia. Sarebbe anche giusto ricordare, che le condizioni sono cambiate: ora sul tavolo ci sono diversi miliardi di euro di aiuti, ai tempi nessuno dall’UE aveva offerto niente per le già malmesse casse di Kiev, e il presidente era praticamente stato costretto a cedere alle lusinghe (e ai soldi) di Mosca.

A proposito di Yanucovich, sembra che si sia fatta chiarezza su una notizia che aveva cominciato a girare poco dopo le repressioni di piazza ordinate dall’ex presidente a fine febbraio. Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, la strage di manifestanti (una settantina di morti), era stata opera di cecchini pagati dall’opposizione ultranazionalista. La questione ha cominciato a prendere forma ad inizio marzo – in Italia è stata ripresa completamente in un post di Marcello Foa (ospitato sul blog di Beppe Grillo), secondo cui quello che sta, e stava, succedendo a Kiev sarebbe tutta una montatura, messinscena collettiva a vantaggio di chissà chi: a provarlo proprio il ruolo dei cecchini. La notizia era nata da quello che l’unica fonte, Olga Bogomolets, ha definito un «total misundestanding» nella registratore di Daniele Raineri, inviato a Kiev dal Foglio che oggi ha chiarito diverse cose sulla vicenda. A cominciare dal fatto che la protagonista smentisce tutto per la terza volta: l’aveva già fatto al Telegraph e alla BBC. Bogomolets, che in quei giorni aveva coordinato i soccorsi a Maidan, è l’unica fonte della storia, citata in un’intercettazione tra il ministro degli Esteri estone, Umars Paet, e il commissario dell’UE Ashton. Secondo quanto avrebbe detto, le ferite riportate da poliziotti e manifestanti sarebbero state dello stesso genere, circostanza che avrebbe fatto pensare ai soccorritori che dietro al grilletto era nascosta la stessa mano. Il punto però, che Bogomolets ha confermato anche a Raineri, è che lei in realtà non ha detto niente del genere, per una semplice ragione: «Io parlo soltanto di cose certe e la certezza che ho è questa: ho visto soltanto cadaveri di manifestanti; non ho visto neanche un poliziotto ucciso e quindi non avrei potuto dire che dietro c’è la stessa mano».

Testimonianza che dovrebbe bastare a sedare l’aria complottista che fischiava da Ovest; si può tornare allora a spostare l’attenzione su quello che sarà nei giorni prossimi. Se le sanzioni avranno un qualche effetto, ancora è presto per dirlo: per il momento non basta il 3 per cento di calo con cui ha aperto la borsa di Mosca (rientrato poi intorno all’1 alla chiusura). Così come non basta la decisione delle società di carte di credito Visa e Mastercard di chiudere i servizi a diverse banche russe.

Putin è stato il primo dei P5 – il consiglio di sicurezza permanente dell’Onu – a sfidare gli accordi di Helsinki del 1975, sull’inviolabilità dei confini. L’annessione della Crimea, sotto questo aspetto rappresenta un’unicità assoluta – in Georgia, infatti, l’intervento russo aveva prodotto la creazione di due stati de jure, l’Abkhazia e l’Ossezia meridionale. La paura è quello che l’analista John Walcott affermava giorni fa a Bloomberg News, e cioè che «l’Ucraina ormai è andata»: l’Ucraina nel suo complesso, non la Crimea. La possibilità che si creino i presupposti per un’azione simile a quella fatta nella penisola meridionale, nelle parti orientali del Paese, sono reali – al di là di quello che lo stesso Putin dice. La vera guerra psicologica tra Kiev e Mosca, giocata al solito anche su propaganda e messaggi subliminali, si consuma sulla possibilità di accaparrarsi lo spirito culturale di quella porzione orientale del territorio.

E lì potrebbe ripetersi il triste schema dello Stato come “monopolio della violenza” e del potere come forza teorizzato da Max Weber e messo in atto dal presidente russo in queste settimane: e l’Occidente potrebbe stare a guardare anche per preservare i propri interessi – per esempio il ministro delle Finanze estone ha chiesto all’UE di predisporre un piano di risarcimento per le nazioni che subiranno danni economici dalle sanzioni alla Russia.

Gira su Twitter una vignetta in cui Putin è rappresentato nel tabellone della March Madness, la parte finale del campionato di basket universitario statunitense: la “pazzia di marzo”, vede Putin cavalcare inarrestabilmente le vittorie contro le “red lines”, contro la vergogna, contro i severi avvertimenti, contro le sanzioni, insomma contro tutto quello che avrebbe potuto fermare il susseguirsi delle proprie decisioni.

 


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