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Non solo F-35. Come razionalizzare i costi senza rinunciare alla difesa

Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali

Quando si deve decidere se una determinata spesa è riducibile oppure no bisognerebbe innanzitutto pensare a cosa serve. Questo vale anche per gli F-35, dei quali occorre valutare i costi reali alla luce della loro utilità per le Forze armate – e di queste ultime per l’Italia.

VELIVOLI DA ROTTAMARE
Chiedersi se vogliamo un’aeronautica vuol dire domandarsi a che cosa servono le Forze armate. Un discorso complesso, ma alcuni punti sono abbastanza chiari. Le Forze armate sono uno strumento della politica estera e di difesa indispensabile per promuovere la sicurezza dell’Italia e tutelare gli interessi nazionali da varie minacce e rischi e in situazioni di crisi. Occorre inoltre tener presente che, in caso di necessità, le capacità e gli strumenti militari non possono essere allestiti in poco tempo, ma devono essere pronti all’occorrenza.
La tutela degli interessi nazionali passa anche per l’impiego delle Forze armate nelle missioni internazionali. Servirono, ad esempio, per porre fine alle guerre civili nella ex-Jugoslavia che negli anni ‘90 avevano innescato un flusso di profughi verso l’Italia e una spirale di instabilità appena oltre l’Adriatico.
Dal 1990 l’Italia ha partecipato con i velivoli dell’aeronautica – F-104, F-16, AMX, Tornado, Eurofighter – e/o della marina – AV-8B – a dieci missioni internazionali, dalla prima guerra del Golfo alle operazioni Nato in Bosnia e Kosovo, dall’Afghanistan alla Libia.
Durante 22 degli ultimi 24 anni questi velivoli sono stati impiegati in una o più missioni, totalizzando oltre 13.800 sortite aeree per un totale di oltre 35.900 ore di volo in teatro. A parte l’Eurofighter, tutti gli altri velivoli saranno dismessi nei prossimi anni, perché, essendo vecchi di 30 o anche 40 anni, diventeranno presto inefficaci e inefficienti.
È quel che avviene con qualsiasi automobile: dopo quattro decenni di utilizzo non è più in grado di circolare, oppure circola come auto d’epoca che non può andare oltre una certa velocità né fare un tragitto troppo lungo.

PORTAEREI SENZA AEREI
Si può ovviamente discutere se, quanto e come l’utilizzo delle Forze armate, in particolare della componente aerea, sia stato utile o no per tutelare gli interessi nazionali in questa o quella missione, o a promuovere il ruolo dell’Italia in ambito Nato ed Ue e il rapporto con gli alleati. Ma di certo, se si rottamano 253 caccia da attacco al suolo tra Tornado, AMX e AV-8B, ma non si acquisisce un sostituto, l’Italia resta senza aeronautica.
E resta anche senza la possibilità di utilizzare l’aviazione imbarcata della marina, ed in particolare la Garibaldi e la Cavour che diventerebbero delle portaerei senza aerei. Occorre ricordare che in Afghanistan per sei anni, dal 2007 in poi, anche l’esercito ha beneficiato di un significativo e costante supporto dei caccia italiani quando ha dovuto rispondere alle imboscate della guerriglia o garantire la sicurezza delle vie di comunicazione – con oltre tremila sortite aeree e 8.450 ore di volo in teatro da parte di Tornado e AMX.
Uno scenario di sostegno aereo a truppe di terra non si può affatto escludere in futuro, né si può escludere l’impiego di velivoli dalle portaerei nel caso non vi fossero basi disponibili a terra. L’acquisizione degli F-35 per aeronautica e marina è pertanto intimamente legata alla capacità di usare il potere aereo quando necessario.

I COSTI DELLA DIFESA
Nel 2012 l’Italia ha investito lo 0,87% del Pil per la funzione difesa, ovvero per le spese necessarie all’assolvimento dei compiti militari specifici di esercito, marina e aeronautica. Nello stesso anno, la Germania ha speso l’1,19%, la Francia l’1,46%, la Gran Bretagna il 2,21% dei rispettivi Pil. Della somma spesa dall’Italia nel 2012, il 70,6% è servito a pagare gli stipendi del personale militare e civile del Ministero della difesa, mentre per gli investimenti in ricerca tecnologica e nell’acquisizione o ammodernamento di equipaggiamenti militari si è speso il 18,2% del budget per la funzione difesa – ovvero lo 0,29% del Pil (anche se vi è un ulteriore investimento a carico del Ministero dello sviluppo economico).
Questa somma serve ogni anno a pagare piccoli e grandi programmi di procurement, tra i quali l’acquisizione delle fregate Fremm per la marina, la digitalizzazione degli equipaggiamenti dell’esercito tramite il programma Forza Nec, l’acquisto dell’ultima tranche degli Eurofighter per l’aeronautica – e l’acquisizione degli F-35, che quindi costa solo una frazione della spesa per gli investimenti militari. Poiché già si è programmato di acquistare solo pochi F-35 l’anno, scaglionando gli ordinativi durante il prossimo decennio, a conti fatti la spesa prevista si riduce a poche centinaia di milioni l’anno.
Si può ovviamente discutere se questa sia una somma alta o bassa, ma di certo non c’è nelle casse del Ministero della Difesa nessun tesoro di svariati miliardi destinato agli F-35 cui attingere pronto cassa, a mo’ di bancomat, per pagare altre spese da effettuare nel 2014 o nel 2015.
Inoltre, cancellare o rinviare l’acquisto degli F-35 non porterebbe i grandi risparmi stimati da alcuni in modo del tutto irrealistico. Infatti, se non si compra un’auto nuova e si continua ad usarne una d’epoca, da un lato si evita la spesa del nuovo acquisto, ma dall’altro si spende sempre di più in officina per i pezzi di ricambio e le riparazioni per una macchina non più in commercio. È il caso di Tornado, AMX e AV-8B che non sono più in produzione e di cui andrebbero quindi prolungate la manutenzione e la logistica se si rallentasse o riducesse l’acquisizione di F-35.

UN LIBRO BIANCO DELLA DIFESA
Se si ritiene che l’aeronautica e l’aviazione della marina siano ancora utili, e che debbano continuare a svolgere il ruolo svolto negli ultimi 24 anni, allora occorre ragionare su possibili risparmi che non intacchino la capacità operativa delle Forze armate. Un ragionamento già iniziato con la riforma approvata nel dicembre 2012, che prevede entro il 2024 un taglio del 30% delle infrastrutture militari, specie le piccole caserme oggi inutili, e una riduzione di 43.000 unità del personale del Ministero della Difesa. Riforma di fatto tradita dal decreto attuativo approvato dal Parlamento a inizio 2014.
È quindi meritoria l’intenzione di riavviare la razionalizzazione della spesa militare a partire dalla dismissione di centinaia di caserme e presidi territoriali, inutili per le missioni che le Forze Armate devono e dovranno svolgere. Altrettanto meritoria è l’intenzione di elaborare un Libro Bianco della Difesa che discuta compiti, livello di ambizione, linee di sviluppo e necessità di procurement dello strumento militare in un’ottica europea e di medio periodo.
Senza tale riforma e razionalizzazione, si rischia in ambito militare non solo di avere un’auto d’epoca inutilizzabile, ma di pagare anche i costi del personale in divisa che gli fa la guardia in garage.

Alessandro Marrone è ricercatore presso l’Area Sicurezza e Difesa dello IAI



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