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Papa Francesco e Obama, che cosa unisce e che cosa divide i due vincenti outsider

Papa Francesco riceverà giovedì 27 marzo nella Santa Sede il presidente Barack Obama, in una visita che si preannuncia particolare, per diversi motivi.
Non solo è la prima volta che il capo di Stato americano incontra il Pontefice, ma sono tanti i dossier sul tavolo.

DUE OUTSIDER DIVENTATI LEADER
Ad incontrarsi – analizza sul settimanale America Magazine John Carr, direttore del programma sul pensiero sociale cattolico e la vita pubblica all’università di Georgetown – non sono solo due leader, ma personalità peculiari. “Il primo presidente afro-americano – spiega il docente – incontrerà il primo papa latinoamericano. Barack Obama e Jorge Bergoglio erano outsider, un senatore sconosciuto e un vecchio gesuita, entrambi con poche possibilità di guidare rispettivamente la nazione e l’istituzione religiosa più potenti sulla terra. E allo stesso modo, entrambi sono stati eletti perché riformatori, impegnati a cambiare a Washington e il Vaticano“.

I TEMI SUL TAVOLO
Se su temi di carattere etico – come il diritto all’aborto – il dialogo tra i due sembra quasi impossibile, così non è sul fronte politico ed economico. Obama e Papa Francesco, anticipa Carr, partono da posizioni molto differenti. Il primo affronta una fase di crisi, il secondo sembra in un’inarrestabile ascesa. Proprio per questo, suggerisce l’accademico, “dovrebbero cercare modi per collaborare per rendere il mondo più giusto e pacifico, sia attraverso la ricerca della pace in Medio Oriente sia proteggendo i cristiani e le altre minoranze religiose in tutto il globo” (tra gli argomenti di discussione ci sarà probabilmente la Siria, ma anche altri focolai come l’Ucraina o i rapporti tesi tra gli Stati Uniti con Russia e Cina, o problemi globali come gli eccessi della finanza, immigrazione, tratta di esseri umani e narcotraffico). Non solo: il presidente Usa dovrebbe imparare, secondo Carr, alcune lezioni da Papa Francesco. “La visione del Papa non è quella di Washington. Lui guarda l’economia e tutta la vita dal basso, dai margini della società, attraverso gli occhi di coloro che sono al di fuori” dal potere o dal benessere. “Queste prospettive dovrebbero guidare l’amministrazione americana verso una nuova ricerca di opportunità per tutti“.

LE IMPLICAZIONI GEOPOLITICHE
Il rinnovato dialogo tra Usa e Casa Bianca può dunque accelerare, non solo per la necessità di Obama di rilanciare la propria azione di governo ma anche per alcune convergenze geopolitiche. La visione di Papa Francesco, come sottolinea sull’Osservatorio strategico del Cemiss Alessandro Politi – analista politico e strategico e direttore della Nato defense college foundation – “tende a una “deromanizzazione” della Chiesa cattolica, percepita come una scelta importante per assicurare la rilevanza dell’istituzione in un mondo globale affetto da una crisi profonda“, mentre riversa un’attenzione particolare al suo mondo. Il segno è chiaro, si legge nell’analisi: “attenzione alle donne, alla dimensione latinoamericana, alla vicinanza rispetto ai poveri ed agli indios nonché alla vocazione di una Chiesa povera”. L’obiettivo “politico” del Pontefice sarebbe quello di “riquadrare la teologia della liberazione e sfilarsi da una possibile strumentalizzazione delle sue parole da parte di chi vuole rilanciare l’idea degli Stati dell’America del Sud legati da una cultura e un destino comuni; un concetto, quello di “Patria grande” messo nero su bianco in un’omonimo libro dallo scrittore argentino Manuel Baldomero Ugarte e caro alla presidentessa argentina Cristina Fernández de Kirchner (con cui si era molto scontrato quand’era arcivescovo di Buenos Aires).  Tanto che alcuni critici – spiega Politi – hanno indicato che “Francesco I, senza necessariamente essere un papa eletto sotto la spinta di Washington, possa essere funzionale ai disegni statunitensi nel contrastare la cosiddetta onda rosa nel Sud del continente“.


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