Riuscirà Angelino Alfano a trasformare il Nuovo Centro-destra nel nucleo promotore di un contenitore ampio di forze e culture popolari e liberali, accomunate dal robusto riferimento al PPE e dall’ambizione di costituire l’alternativa al Partito democratico entrato con abilità e spregiudicatezza nel PSE?
L’interrogativo e lo spunto lanciati dallo storico della filosofia Benedetto Ippolito su Formiche.net all’indomani del Congresso del Partito popolare europeo coinvolge gran parte delle famiglie politiche conservatrici e moderate protagoniste della stagione della Casa delle libertà.
Tuttavia le ragioni di una rinnovata alleanza e le prospettive di una lista unitaria già nelle elezioni di maggio per l’Assemblea di Strasburgo cedono il passo a rivalità, gelosie, manovre tattiche, volontà di contarsi. E resta ambiguo e irrisolto l’orizzonte progettuale della futura coalizione di centro-destra, oscillante tra europeismo popolare, velleità liberali-liberiste, radicalismi populisti fortemente ostili alle politiche economiche comunitarie. Per comprenderne le linee di sviluppo e le contraddizioni il nostro giornale si è rivolto a Giuseppe Esposito, senatore del Nuovo Centro-destra e vice-presidente del Comitato parlamentare sui servizi di intelligence con una lunga esperienza in Forza Italia e nel PDL.
A che punto è il cantiere della Casa popolare di centrodestra?
È prematuro parlare di cantiere. Per ora tentiamo di costruire l’identità del Nuovo Centro-destra. Vogliamo essere l’anima di un grande contenitore moderato e riformatore fondato su un programma liberale e su valori non negoziabili, aperto a tutti coloro che rifiutano una prospettiva statalista.
I Popolari per l’Italia però hanno stipulato un patto con le forze liberali dell’ALDE.
Il nostro percorso è inserito in un quadro di implosione delle formazioni politiche, ormai ridotte ad amalgama di gruppi eterogenei. All’interno di ogni partito non vi è più un limpido perimetro ideale. E nel campo dei Popolari l’ottica in cui si muove Mario Mauro è diversa da quella prefigurata da Lorenzo Dellai.
È tramontata l’idea di una lista unica del PPE italiano?
Non è affatto abbandonata. Ma nell’Italia in cui viviamo si è deciso che le prossime elezioni europee costituiscano un report per sapere quanto vale ogni forza. Un voto da cui scaturirà un mosaico con tanti tasselli. Il trionfo del “particulare” acutamente messo in luce nel 16° secolo da Francesco Guicciardini. E il risultato sarà inevitabile. Per il rinnovo dell’Assemblea di Strasburgo e delle amministrazioni locali non riusciremo a costruire nessuna lista unica del PPE in Italia.
Siete certi di superare l’asticella del 4 per cento?
Più che esserne convinti abbiamo ricevuto segnali incoraggianti: 10mila circoli in meno di un mese, 4mila amministratori locali, 67 parlamentari italiani ed europei, oltre 100 consiglieri regionali. Adesioni giunte prima della fondazione ufficiale del nostro partito, prevista il 16 aprile con la scelta di segretario, coordinatore e presidente.
È possibile costruire una rinnovata Casa delle libertà?
La Casa delle libertà appartiene alla storia. Per il futuro penso a un’aggregazione delle forze di centro-destra su un terreno di pari dignità e rappresentanza. Non costruita sul collante di un padre-padrone. La sua realizzazione però sarà legata profondamente alla legge elettorale. Riguardo alla quale vorrei capire perché un partito che raggiunge il 3,5 per cento dei voti in una coalizione non elegge nessun parlamentare. E perché una formazione con il 17 per cento dei suffragi può arrivare al 55 per cento dei seggi.
Al contrario del Nuovo Centro-destra Forza Italia è ostile alle politiche di austerità, al Fiscal Compact, alla Ue a trazione germanica.
Non credo che Forza Italia costituisca un partito anti-europeo. Proprio ieri il suo consigliere politico Giovanni Toti ha individuato nel ruolo scarsamente incisivo del governo e degli euro-deputati il vero danno per il nostro paese a livello comunitario. Finora i politici italiani sono stati mandati a Strasburgo per trascorrere un lungo periodo di riposo dalla vita pubblica nazionale. E non per cogliere le opportunità offerte dall’UE.
Rino Formica ha osservato sul Foglio che la trasformazione del Senato è eversiva.
Non nutro la stessa preoccupazione, poiché il Parlamento è molto attento a garantire gli equilibri istituzionali. La mia predilezione va a un Senato di tipo nordamericano, formato da 100 persone e investito di un ruolo nevralgico su spesa e leggi fondamentali. Ma è una delle tante opzioni in campo. Il mio collega socialista Enrico Buemi ha proposto l’abolizione della Camera dei deputati per rendere più corposa la riduzione della spesa pubblica. Un dato è certo. Palazzo Madama non può essere soltanto una Camera eletta in seconda battuta tramite gli enti locali. Non dove avere un potere fiduciario verso il governo ma una funzione di controllo efficace sulla validità, ragionevolezza ed efficacia delle norme.