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Perché i riformisti eredi di Marco Biagi sono un po’ tiepidi sul Jobs Act di Renzi

“Modernizzare e semplificare il lavoro. L’attualità di un progetto riformatore”. È il titolo del convegno promosso ieri dal pensatoio riformista ADAPT nella sede nazionale delle Camere di commercio italiane per ricordare il giuslavorista Marco Biagi a 12 anni dal suo assassinio per opera delle nuove Brigate rosse. Un’iniziativa preziosa per riscoprire il valore e l’attualità di uno studioso che con spirito di libertà ricercava un confronto aperto e pragmatico per rinnovare un terreno ritenuto intoccabile nel nostro paese.

Confronto respinto con ostilità da tutti coloro che, chiusi in un’ottica provinciale e conservatrice, vollero creare nei suoi confronti un “cordone sanitario” per isolarne e ostracizzarne le riflessioni. Così per tanti anni i temi della responsabilizzazione delle parti sociali, della fiducia nella contrattazione collettiva, della semplificazione delle regole sul lavoro e della loro corrispondenza con le reali esigenze produttive sono svaniti dall’orizzonte della vita pubblica.

LA LEZIONE DI BIAGI PER LEGGERE IL PRESENTE

Riproporne le profonde intuizioni è un modo per analizzare le strategie politiche in materia di lavoro, relazioni industriali, ammortizzatori sociali. A partire dal progetto presentato da Matteo Renzi, nelle sue luci e nei punti più nebulosi. Programma che ha provocato giudizi variegati nel mondo politico e sindacale, e che è stato studiato e in parte criticato dal coordinatore scientifico di ADAPT e stretto collaboratore di Biagi, Michele Tiraboschi.

GLI INTERROGATIVI APERTI

Al pari delle politiche promosse dal premier, la discussione tra studiosi e politici ha lasciato irrisolti gli interrogativi già al centro dell’elaborazione del giurista bolognese. Sembra tramontata l’ipotesi di contratto unico a tempo indeterminato con tutele crescenti nel tempo, messa a punto dal giuslavorista Pietro Ichino e dagli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi. E appare evaporata una radicale riforma degli ammortizzatori sociali per la creazione di un moderno, equo e universale Welfare to work analogo a quello creato da Bill Clinton nel 1996.

Un orizzonte nel quale si inseriva il “Libro Bianco” concepito da Biagi nell’ottobre 2001 e contenente proposte puntuali per una società attiva e un lavoro di qualità. Ma che venne contraddetto e abbandonato in tutti gli interventi adottati negli anni seguenti. Compresa la legge promossa nel 2003 dall’allora ministro del Welfare Roberto Maroni e che porta il suo nome, mutilata del piano sugli ammortizzatori sociali.

LA SFIDA DELL’ARTICOLO 18

Artefice e promotore di un progetto di legge ispirato alla riflessione dell’economista emiliano è il capogruppo del Nuovo Centro-destra a Palazzo Madama e presidente dell’associazione “Amici di Marco BiagiMaurizio Sacconi. Stella polare della proposta legislativa è la cultura della libertà responsabile e la fiducia antropologica nel rapporto tra lavoratore e impresa. Lungi dal ritenere l’azienda un luogo di sfruttamento, l’ex ministro del Welfare prospetta un moderno Statuto dei lavori “leggibile in inglese, compreso nella cornice giuridica europea, basato sulla libera contrattazione decentrata, sulla nozione di impresa come comunità a cui si partecipa e da cui è possibile separarsi con adeguate tutele economiche”.

Uno strumento costruito sull’apprendistato come contratto con garanzie crescenti nel tempo e calibrato sul percorso educativo personale, su un rapporto a termine più flessibile, su una rete di ammortizzatori imperniati su un “buono formazione” da spendere liberamente presso gli enti pubblici, privati e del privato sociale, sul ricorso all’arbitrato per risolvere il contenzioso. Ma tutto ciò, rimarca Sacconi, presuppone una sfida a viso aperto all’Articolo 18 dello Statuto del 1970, “simbolo della rigidità da combattere”.

IL PRAGMATISMO DEL GOVERNO

Fortemente intenzionato a recuperare contenuti e metodo presenti nel Libro bianco di Biagi è l’attuale responsabile del Lavoro Giuliano Poletti. La sua lettura è improntata a genuino pragmatismo: mettere le scelte alla prova dei fatti. E i fatti, spiega l’ex numero uno di LegaCoop, dicono che nella seconda metà del 2013 il 68 per cento degli avviamenti professionali è stato frutto di contratti a termine. Allo stesso modo dimostrano che la durata di una collaborazione coordinata continuativa stabilizza l’attività professionale. È per questo motivo che il governo ha introdotto regole più flessibili sul rapporto a tempo determinato, liberalizzandoli a 36 mesi ed eliminandone la motivazione.

Altro problema concerne la risoluzione del rapporto di lavoro, spesso affidata al giudice rispetto alla libera negoziazione delle parti sociali. Ricorso che l’esecutivo tenta di ridurre. Analoghi obiettivi, precisa il ministro del Welfare, riguardano la partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili aziendali, la costruzione di opportunità occupazionali per le fasce più deboli: giovani e anziani, immigrati e detenuti. “Lo scopo è coinvolgerle in un rapporto vivo e responsabilizzante con la comunità. L’esatto contrario del sussidio di disoccupazione che le relega in casa”.

UN NUOVO CODICE DEL LAVORO

L’esigenza di modernità ed equità avvertita da Marco Biagi ha spinto Pietro Ichino, giuslavorista teorico della Flexsecurity e senatore di Scelta Civica, a redigere una proposta legislativa di Codice semplificato del lavoro in grado di superare in 70 articoli una selva sterminata di norme. Per farlo, osserva il parlamentare, è necessario rilanciare la contrattazione collettiva usurpata dal potere politico. E promuovere l’intelligibilità delle regole su tutti i punti caldi: cassa integrazione, disciplina dei licenziamenti, retribuzione minima oraria, dimissioni in bianco, regole sulle attività professionali somministrate.

I RISCHI SECONDO L’EX MINISTRO DAMIANO

Storico avversario delle proposte di Biagi, il parlamentare del Partito democratico e presidente della Commissione Lavoro di Montecitorio Cesare Damiano non condanna la prospettiva di semplificazione: “A patto che non metta a repentaglio le tutele a favore dei lavoratori”. È con questa bussola che l’ex responsabile del Welfare giudica l’azione del governo Renzi. Reputandola meritoria per gli interventi sull’IRPEF e nei confronti delle imprese. Valutandola con severità per la liberalizzazione del contratto di lavoro a termine e per le nuove norme sull’apprendistato, “troppo svincolate dai percorsi formativi”.

Così, rimarca l’esponente della sinistra del PD, si perde di vista l’obiettivo del contratto unico di inserimento e di un lungo periodo di prova incentivato e finalizzato all’assunzione stabile. Ai suoi occhi la priorità è colmare il fossato tra realtà produttiva e percorso educativo, coinvolgendo già a 17 anni i ragazzi in un inizio di apprendistato soprattutto nei mesi estivi.

Molto positiva, invece, la sua opinione sul piano di innovazione degli ammortizzatori sociali previsto nel Job Act. Il parlamentare è soddisfatto della rinuncia del premier ad archiviare la cassa integrazione ordinaria, “istituto mutualistico valido e per il quale è giusto pagare di più”. E apprezza la volontà di Renzi di abrogare la cassa integrazione in deroga, “trasformatasi in sussidio di disoccupazione mascherato”, per promuovere un assegno di copertura universale e attiva a tutela delle persone non garantite.



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