Non credo che possa essere un film a farci intravedere una qualche fine di un qualche tunnel, e non un film del genere, comunque, tutto giocato sulla dolcezza romantica e cool del declinare di tutte le cose e, in particolare, di Roma.
Quello di Jep Gambardella è un ghigno, poi, non un sorriso, ed è lo stesso che l’attore, Servillo, il Nostro Più Grande Attore, immancabilmente assume, in tutti i ruoli in cui si trovi a recitare, con una flemma che non è simpatica, ma compiaciuta e disillusa, molto contemporanea: il tutto, molto teatralmente, nella maniera più impostata, falsa e falsificatrice, e non è un bel cinema, secondo me, quello che fa il verso al teatro.
Sorrentino come Fellini, e Servillo come Mastroianni: paragone che fa impressione, perché “La dolce vita” sì che era qualcosa di… vitale, ed esprimeva tutta la curiosità di un’Italia giovane, che non indugiava nel mettersi in posa e che, dopo ogni ciak, non ghignava allo specchio, convinta di aver creato qualcosa di “culturale”, “elevato”, “imperdibile”, che ci renderebbe tutti più intelligenti e distaccati e superiori – tutti superiori a tutti gli altri.