Che 25 marzo sarà questo per la Grecia? Una festa nazionale non è solo l’occasione per organizzare parate e far prendere un po’di aria a belle casacche e abiti d’epoca. La Grecia del 2014, quella che il governo presenta come fuori dalla crisi, è un paese sventrato, dove i diritti sono diventati secondari, dove i ricchi sono diventati sempre più ricchi -nonostante la troika– e i poveri sempre più poveri, dove la classe media sta sparendo e dove nessuno dei responsabili del crac ha pagato fio. Dove l’industria non esiste più, al suo posto una colonizzazione di chi, forte di una legge che si chiama memorandum, è legittimato ad assumere lavoratori a 400 euro al mese.
Era questa la grande aspettativa di chi scelse sic et simpliciter un’alimentazione e idratazione forzata da parte dei creditori internazionali? Era questa l’infrastruttura valoriale comunitaria che gli strateghi di Bruxelles hanno costruito dimenticando di finire quel ponte che oggi conduce solo all’Ade? Ma se Bruxelles piange, Atene non ride. L’insipienza e l’incapacità di una classe dirigente che per trent’anni ha essa stessa fatto razzia di tutto e di tutti, oggi appare come un vessillo di salvezza, ma solo agli occhi di certa stampa embedded.
La realtà dice che quasi il 20% dei greci è in povertà, con il 60% che dichiara di fare economia sul carrello della spesa e con i ristoratori che lasciano un po’di cibo invenduto fuori dalla saracinesca, una volta chiusa, dopo una giornata di lavoro. Ecco la fotografia dell’avanzo primario sbandierato con orgoglio dal governo. Ma dimenticando che quel miliardo e mezzo di euro che Atene rispedisce a Bruxelles come nuovo bigliettino da visita di rigore e austerità, è stato pagato da diritti svaniti e dalle sofferenze degli ultimi.
Buon 25 marzo a tutti greci nel mondo, non a chi ha apposto la firma su un Medioevo che fatica a farsi Rinascimento.
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