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La grande antipatia

E continuo a domandarmi perché, perché Fellini e Mastroianni mi siano così simpatici e Sorrentino e Servillo, invece, no, perché io non riesca proprio a sopportarli. Sarà soltanto per il fatto che tutto ciò che è passato e lontano sembra migliore di ciò che ci è contemporaneo? Boh. Non vorrei dedicare troppo impegno al chiarimento di un mistero che, magari, non ha consistenza, ma è difficile mettere a tacere quella vocina che mi suggerisce che queste mie antipatie e simpatie possano essere il punto, per quanto instabile, di partenza di una riflessione su di noi, sulla nostra identità – addirittura! -, su chi eravamo e su chi siamo, poi, diventati.

Ecco: Sorrentino e Servillo mi sembrano due che si mettono in posa, che si piacciono moltissimo, ai quali tutto va liscio, perché corrispondono precisamente ai nostri desideri culturali, o “mid-culturali”. In loro, noto il ghigno soddisfatto del tempo presente, la ruffianeria di chi sta dalla parte del giusto e del gusto, e poca, pochissima curiosità della realtà, di tutta la realtà: volete un film che sostenga “culturalmente” l’idea che vi siete fatti di Andreotti, che vi confermi i vostri giudizi o pregiudizi? Per voi, è pronto “Il divo”. Vi serve una narrazione molto cool della disillusione nella quale tutti siamo precipitati? Correte ad applaudire “La grande bellezza”. Se Fellini il suo pubblico se lo creò dal nulla, mi sembra che Sorrentino aderisca bene, dannatamente bene, ai nostri bisogni, che non ci stimoli e che, anzi, ci inviti ad adagiarci. (Vabbè, bastava ammettere che mi sono annoiato tantissimo, e che sarebbe stato meglio tagliare un’ora di pellicola).



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