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Le illusioni di Renzi sul Pd riformista

Le difficoltà di fare le riforme in Italia si vede dal mattino, ossia dal momento in cui le trasformazioni cercano di essere messe in atto. Già, perché nel nostro Paese tutti, soprattutto gli intellettualoni accademici, sono pronti a sbandierare ai quattro venti cambiamenti di ogni genere. Poi, però, quando qualcuno s’impegna davvero a mutare i nodi strutturali della Repubblica, ecco che il boicottaggio diventa l’hobby nazionale dei circoli che contano.

Nella lunga intervista al Corriere della Sera di oggi, il premier Matteo Renzi vuota il sacco, pieno di aspirazioni volitive, ma anche di difficoltà insormontabili e di profonde amarezze. Adesso che le riforme sono arrivate alla prova dei fatti si sono inalberati contro di lui tutti i più intransigenti immobilismi, a partire, appunto, dai soliti noti maitre à penser della sinistra.

Insomma, dietro il conflitto tra ostacoli e idealismo s’intravvede un quadro generale del Paese molto triste e spoglio, in cui chi vuol fare il riformista, Renzi in testa, è tanto debole quanto chi vuol difendere con tutta l’anima la Repubblica macchinosa che abbiamo, densa di cavilli, lacci laccioli e passaggi minati. Una lotta, senza dubbio, tutta interna alla sinistra.

Dove sta la debolezza di Renzi? E’ molto semplice rispondere. La sua iniziativa politica è animata da un’istanza riformatrice che viene dal basso, che viene dagli elettori di centrodestra, è ispirata dalla gente comune e finalizzata a non far morire, al contrario di altri predecessori, tutti i buoni propositi nel ginepraio del pluri mastodontico insieme di poterucoli che caratterizzano la nostra democrazia parassitaria. Si sapeva, ad esempio, che il Senato avrebbe osteggiato l’auto riforma. E così è stato nelle sogghignanti parole del presidente Grasso che ha sopito ogni accelerazione renziana in una caustica “riduzione dei senatori”.

Ma la debolezza di Renzi non è soltanto la forza sottile dei suoi avversari. La sua debilitazione deriva dal fatto di essere un vero riformatore ma di volerlo fare all’interno del partito e dell’area politica più conservatrice di tutti, in senso deteriore del termine. Qui è la consapevolezza storica a mancargli, e forse la conoscenza dei fondamentali. La sua scommessa sembra il grido del pulcino in mezzo alle aquile dannate. Come poter immaginare, d’altronde, che un disegno tanto ambizioso potesse essere fatto con una base popolare personale di consenso e un’indiscussa capacità comunicativa del leader, ma all’interno di un centrosinistra che è costitutivamente nato per rendere il sistema tanto garantista quanto inamovibile nella sua realtà?

La debolezza di Renzi, dunque, è il suo essere un outsider che ha consenso sì, ma non ha potere, visto che il potere vero della sua parte politica lo percepisce come nemico di una storia e di una tradizione profondamente ostile alla democrazia governante.

Non meno chiara è, tuttavia, la debolezza dei suoi nemici. Che una persona intelligente come Stefano Rodotà si faccia promotore dell’antirenzismo, gridando alla lesa maestà costituzionale e trovando l’adesione di Grillo è più eloquente di ogni commento. Tra l’altro, la cosa, non da ora, svela il vero intento del M5S che è quello tipico del radicalismo rivoluzionario, alla fine più conservatore di ogni becero conservatorismo di maniera.

La morale della favola è chiara. Guardando la Francia è facile comprendere che autentiche riforme possono nascere solo quando germogliano nel centrodestra e si sviluppano da una solida posizione culturale e da un altrettanto stabile ceto sociale, la classe media. Non so se Renzi fallirà o meno. Quello che sta morendo è il senso politico della sua ascesa, motivata dall’idea che il Partito Democratico possa essere un polo di cambiamento.

Una speranza, infine, perché non darla. Che gli elettori renziani, iniziando dalle elezioni di maggio, s’ispirino a quello che avviene in Europa e votino in modo da veder garantite le riforme che auspicano. Questo è un buon suggerimento che si ricava dai giornali di oggi. Il centrodestra, per suo conto, in Italia non può più essere né un polo aggregativo populista e inabile a governare, né uno spazio di fiancheggiamento del centrosinistra. Deve diventare quello che è: un’area di consenso in cui la volontà di riformare la politica poggi su una chiara idea della persona e della sua libertà, unita a una sicura affermazione della società e della famiglia come perno della democrazia.

Se sai quello che sei, puoi cambiare il mondo. Altrimenti è solo una perdita di tempo.

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