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L’Occidente ha perso la bussola

I fatti ucraini fanno apparire l’Occidente come un disco rotto che ripete stancamente sempre lo stesso spartito: dal 1989 ad oggi, con l’Ucraina, lo stile geocentrico occidentale è stato ovunque fallimentare e autolesionista. Mentre gli analisti capaci non mancano, la politica e gli apparati seguono le stesse vecchie linee di pensiero ispirate ad un presupposto di superiorità ideologica. L’appannaggio occidentale dei ‘diritti’ umani, della ‘democrazia’, del ‘mercato’ liberaldemocratico, e le conseguenti minacce di ‘sanzioni’ e interventi ‘umanitari’ sono armi spuntate. L’Occidente è sbiadito!

Altro che ‘cambiare verso’ e ‘rimodulazione’, l’Occidente ha innanzi tutto bisogno di una operazione catartica. Deve iniziare a dire la verità a se stesso, ai suoi popoli. Non farlo significa non riconoscere che la dominanza occidentale è finita oltre ad essere insostenibile. Nessuno seguirà più gli Usa in operazioni di dominazione regionale o planetaria. La politica americana se ne deve fare una ragione. Le recenti affermazioni dei leader politici americani, sia repubblicani sia democratici, che siano neocons o tea party o ultra liberal, sono contro produttive.

Cerchiamo di andare in ordine di priorità.

La prima priorità è di smettere le provocazioni alla Cina: dal ‘containement’, peraltro fallito ignominiosamente con il Tpp, si deve passare allo ‘engagement’ costruttivo.

La seconda priorità è di sostenere il processo di riequilibrio strategico nell’Asia Minore e in Medio Oriente. In questo senso le ipotesi di una Ginevra3 che veda la partecipazione di Iran, Arabia Saudita, oltre al P5+1 è la strada maestra.

La terza priorità è di aprire un serio negoziato strategico euratlantico-eurasiatico per risolvere le incoerenze  geopolitiche degli Usa, dell’Ue e della Russia.

Questo si potrà realizzare se si abbandona definitivamente il pensiero binario, il noto amico-nemico e il suo corollario ideologico bene-male, per affrontare la situazione con percorsi di pensiero metafisici, che superano le strettoie della contingenza.

Solo le culture profonde, dal lungo passato, possono contribuire a creare un mondo migliore e tenere viva la speranza.

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