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Ecco i veri numeri sulla parità di genere nei Parlamenti del mondo

Erano tre emendamenti che prevedevano, a vari livelli, l’obbligo di raggiungere la parità di genere nelle liste elettorali, le cosiddette quote rosa, e sono stati bocciati dal Parlamento nella votazione a scrutinio segreto di lunedì 10 marzo sulla legge elettorale. Non si sono fatte attendere le polemiche, tra accuse interne al Pd – colpevole di non aver votato in maniera unita – e le proteste delle donne deputate vestite simbolicamente di bianco. A guardare fuori dal recinto nazionale, comunque, la situazione non è molto più rosea: sono poco più del 20% le donne presenti nelle assemblee parlamentari del mondo.

LO SCOPO DELLE QUOTE

“The core idea behind quota systems is to recruit women into political positions and to ensure that women are not only a few tokens in political life”, si legge nell’articolo di Drude Dahlerup, docente di Scienze politiche alla Stockholm University e pubblicato dal sito Quota Project. Rendere la partecipazione delle donne più numerosa e proficua, cercando di aumentare la presenza femminile nelle istituzione mediante l’uso di quote previste per legge o nella selezione dei candidati all’interno dei partiti.

l’ITALIA IN EUROPA

La percentuale di donne presenti nelle assemblee parlamentari in tutto il mondo è del 20,4%. In Italia la quota è del 31% (qui la scheda completa), al di sopra di Francia (27%), Gran Bretagna (22%) e Portogallo (27%), mentre Spagna e Germania hanno si attestano su una percentuale del 36%. Tra i Paesi con la maggiore rappresentanza femminile ci sono Islanda e Norvegia al 40% e la Svezia al 45%. Tra queste nazioni, Germania, Irlanda, Norvegia, Svezia e Gran Bretagna non hanno una legislazione sulle quote di genere, mostrando come non sempre alle quote rosa corrisponda un’effettiva maggiore presenza di donne nelle assemblee così come l’assenza di legislazione (come per Norvegia e Svezia) non limiti l’accesso femminile.

PRO E CONTRO

Violazione dei principi di democrazia e uguaglianza, discriminazione per genere (quello maschile, questa volta) e, in generale, violazione dei principi liberali di democrazia. Il Quota Project elenca i possibili rischi insiti nelle quote rosa, salvo poi elencarne i benefici chiarendo che la presunta discriminazione sarebbe in realtà una compensazione di una disuguaglianza già presente, il diritto delle donne non solo di poter accedere alla vita politica, ma anche di vedersi rappresentate equamente nelle istituzioni. Le quote, si legge infine, possono contribuire il processo di democratizzazione rendendo il processo di nomina più trasparente e formalizzato.

PARITA’ DI OPPORTUNITA’ O DI RISULTATI?

La parità di accesso e quindi di opportunità di accesso alle cariche elettive non si traduce sempre in un’effettiva maggiore rappresentanza dopo le elezioni – si legge nel testo di Drude Dahlerup – soprattutto perché l’eliminazione delle barriere all’entrata (con la previsione di quote di rappresentanza nelle liste di partito, ad esempio) non prevede poi delle politiche che eliminino le discriminazioni e i limiti culturali. L’uguaglianza come obiettivo da raggiungere – si legge ancora – non può essere raggiunta attraverso l’uguaglianza di trattamento. Se le barriere esistono, infatti, sono necessarie misure di compensazione che portino, dunque, all’uguaglianza dei risultati. Viste in quest’ottica, le quote non sarebbero una discriminazione contro gli uomini, ma una compensazione per le barriere strutturali che ostacolano le donne nei processi elettorali.

Leggi l’analisi completa in lingua inglese



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