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Bravo Renzi, ma le coperture sono evanescenti. Polillo giudica il piano fiscale del premier

Le intenzioni della manovra-Renzi? Buone. Le coperture? Non esistono. La vera rivoluzione? In una precisa strategia di riforme strutturali, come una mannaia sulle municipalizzate, i veri buchi neri d’Italia. Commenta così l’ex sottosegretario all’Economia nel governo Monti Gianfranco Polillo il pacchetto di riforme economico-finanziarie annunciate dal premier Matteo Renzi.

Che voto dare alle misure annunciate da Renzi?
Le intenzioni sono buone, la via intrapresa per realizzarle un po’ meno. L’impostazione generale è condivisibile, serve uscire dall’angolo in cui l’economia italiana ristagna da troppi anni. Punto di partenza è la consapevolezza che il fallimento delle politiche passate è stato plateale. Per cui dopo 20 anni bisogna imboccare una strada diversa.

Quale?
La prima parte della riforma Renzi è corretta, in termini di riforme complessive.

Cosa non convince?
Due elementi: i tempi un po’ stretti che ha indicato hanno più una caratura elettoralistica che non una prospettiva di pratica realizzazione. La riforma appare incompleta, non affrontando il tema di fondo delle profonde riforme strutturali la cui realizzazione esclusiva è strategica.

L’intervento sulle buste paga rilancerà i consumi o farà aumentare il risparmio?
Trattandosi di livelli di reddito molto contenuto, nella maggior parte dei casi rilancerà leggermente il consumo e il possibile risparmio sarà marginale. Vedo subito un immediato pericolo: non è detto che si traduca tutto in una crescita del pil, perché potrebbe essere una piccola locomotiva per le importazioni di prodotti più a basso costo rispetto a quelli made in Italy.

Le coperture finanziarie accennate sono congrue o seguono la strada della finanza pubblica creativa?
Le coperture non esistono, sono creative. La verità vera è che si tratta di una manovra di deficit-spending di circa 3 punti di aumento del debito, qualora Renzi riuscisse a pagare i debiti della Pubblica Amministrazione che non potrà certamente fare in un mese ma occorrerà un respiro congruo.

Potranno essere saldati quei debiti?
Non è un problema di mancanza di risorse, in quanto non siamo riusciti nemmeno a utilizzare quei 40 miliardi che avremmo potuto spendere. Un ritardo figlio di procedure troppo complesse: la legge stabilisce che i crediti devono essere esigibili e certificati. Si aggiunga che la responsabilità della certificazione è di un ufficiale che risponde in proprio. L’errore commesso dall’ex ministro Saccomanni, ad esempio, è stato di non aver creato una task force a livello centrale che pungolasse gli amministratori locali dal momento che la maggior parte del debito è custodito da province, regioni e municipalizzate. Per cui la manovra potrà essere portata avanti solo se accompagnata da interventi di carattere strutturale che consentano a quei paesi che facciano le riforme, di procedere prescindendo dai parametri europei.

Utile il mix tra tagli all’Irpef e taglietto all’Irap o, come aveva anticipato il ministro Padoan, era preferibile una sola delle due opzioni?
Il grosso è sull’Irpef da 10 miliardi. Devo dire che la furbizia è stata quella di prevedere diverse ipotetiche tipologie di coperture, su quei 10 miliardi tutte le poste indicate non possono essere utilizzate. L’aumento del deficit per poter essere utilizzato deve poter essere concordato con l’Europa. Il risparmio di interesse non solo è ipotetico, ma nelle ultime previsioni della Commissione Europea per l’Italia fatte quando lo spread era già caduto, si evince che non ci sono margini.

La spending review quanto potrà incidere?
Va bene, ma è un consuntivo. A meno che Renzi non dica che da domani elimina il 50% dei dirigenti pubblici: quelli sarebbero risparmi che potrebbero essere immediatamente utilizzati. Per cui questa è una manovra in deficit. La manovra in deficit si può fare solo se c’è l’accordo con l’Europa, o meglio, se si conduce una battaglia e la si vince.

Come vincerla?
Esclusivamente se si porteranno a termine le riforme strutturali, come hanno fatto Francia, Grecia e Spagna. Nei confronti di Parigi, per ragioni di opportunità politica, la Germania ha sempre chiuso un occhio. Madrid e Atene hanno fatto riforme pesantissime, creando massicce dosi di flessibilità.

Le misure renziane su lavoro e contratti, come l’intervento sui contratti a termine, sono state lodate dall’ex ministro Sacconi e su Formiche.net da Giuliano Cazzola. Che ne pensa?
Renzi qualcosa l’ha detta sulle rigidità introdotte dalla legge Fornero. Bene i progressi sul contratto unico, ma permangono i dubbi sulle tutele progressive nei tre anni che non garantiscono automaticamente livelli occupazionali. C’è una battuta che spiega molto di questa questione: “Non è che se porto il vino, uno si sposa”.

Che effetto reale hanno i rilievi giunti oggi dalla Bce sul mancato risanamento dei conti pubblici?
Potremo fare anche la battaglia contro l’impostazione claustrofobica dell’Europa, solo se dimostreremo di aver realizzato quelle riforme in grado di accrescere il potenziale. E’ questo l’assunto.

Perché non affondare il colpo sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali e sui reali conti delle municipalizzate?
E’ il vero buco nero del Paese, in cui risiede l’elemento di contraddizione nella proposta-Renzi. Si vanta di essere il sindaco d’Italia ma proprio per questo non si rende conto di come sia la finanza locale la grande zavorra nazionale. Il 60% della spesa corrente al netto di quella per gli interessi previdenziali è gestita dagli enti locali. Quella è la giungla che va disboscata.

twitter@FDepalo


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