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Province e Senato, perché nelle due riforme prevalgono superficialità e demagogia

La recentissima decisione concernente la riorganizzazione – e non ancora la soppressione – delle Province può far parte anche di una visione purtroppo prevalentemente demagogica.

Aver infatti affermato – come ha fatto il presidente del Consiglio – che si tratta di una decisione che intanto comporta il non pagamento di tremila indennità a “politici”, significa sostanzialmente dire che la questione ha un profilo prevalentemente economico e non – come pure è necessario – prevalentemente istituzionale, come avverrebbe appunto nel caso di una vera e propria abolizione delle Province, conseguente ad un’adeguata rilettura istituzionale del rapporto tra territorio ed apparati politico-amministrativi.

Questa decisione completa in parte un iter legislativo-costituzionale che era stato indicato già dal precedente governo Letta, ed è giunta oggi in un contesto di fretta istituzionale che ha concorso ad adottare una decisione della quale molto probabilmente saranno proprio gli italiani a pagare un prezzo molto alto.

Vi è da augurarsi che la preannunciata soppressione del Senato della Repubblica non avvenga in termini tali da indurre più d’uno a preferire il vecchio sistema più che un nuovo modello istituzionale ancora in qualche modo sgangherato.

Chi infatti rifletta seriamente sull’assetto costituzionale vigente, deve tener conto del fatto che anche l’età è presa in considerazione almeno tre volte: quella prevista per l’elezione della Camera dei Deputati che si basa sul conseguimento della maggiore età (come nel caso della elezione dei sindaci e dei presidenti delle Regioni); quella necessaria per diventare senatori, che oggi è consentita a chi ha conseguito almeno i quaranta anni; e quella ancora superiore per chi può essere eletto Presidente della Repubblica.

Il sistema vigente, quindi, contiene un vero e proprio equilibrio inter-generazionale nel quale non esiste un primato assoluto né della più giovane età, né dell’età matura, né della saggezza della cosiddetta “terza età”.

Si può certamente modificare l’equilibrio esistente, ma non si può stravolgere un equilibrio comunque necessario tra le diverse età prese in considerazione dal patto costituzionale vigente.

A maggior ragione, questa considerazione ha pregio qualora si intenda mantenere la figura di Presidente supplente della Presidenza della Repubblica in capo al Presidente del Senato, il quale – ovviamente – non può oggi avere meno di quaranta anni.

Quel che appare dunque talvolta come un vero e proprio “furore demolitorio” dovuto a ragioni demagogico-economiche, dovrebbe infatti assumere le caratteristiche di un necessario nuovo equilibrio costituzionale, nel quale non si tratti di voler inseguire demagogicamente l’orientamento contingente dell’opinione pubblica, ma di costruire un sistema destinato ad operare per il miglior funzionamento del complesso apparato istituzionale italiano.

Occorre pertanto che alla alternativa tra vecchio e nuovo – che sembra imporsi in Italia da qualche tempo, quasi esclusivamente sulla base di considerazioni prevalentemente economiche -, si sostituisca una alternativa tra efficiente e non efficiente, tra virtuoso e non virtuoso.

L’imminenza delle elezioni europee non può pertanto costituire il motivo prevalente per indurre le Camere a deliberare su questioni sulle quali si discute da molto tempo e per le quali sono state costituite, nel corso degli ultimi venti anni, almeno tre sedi di adeguata riflessione istituzionale.

Se infatti è certamente venuto il tempo di decidere, non si può assumere il cambiamento per una sorta di bene assoluto, a prescindere dai contenuti che esso finisce con l’incarnare.

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