Non si arresta la tensione in Ucraina. Kiev grida all’invasione, denunciando la presenza di “migliaia di soldati russi sul territorio”. Nel frattempo il premier della Crimea ha chiesto aiuto a Vladimir Putin, che ha promesso di intervenire per difendere la regione, considerata strategica. Ma in caso di mosse simili del Cremlino, gli Usa ipotizzano ritorsioni come il boicottaggio del G8 di Sochi.
Un mosaico, questo, in cui emergerebbe come Mosca stia facendo di tutto per impedire che l’Ucraina possa entrare nell’orbita europea e della Nato. Ciò indebolirebbe fortemente la proiezione russa sul Mediterraneo dal porto di Sebastopoli e minerebbe in modo forse irreversibile la voglia di rilancio del Cremlino sul piano internazionale, a partire dalla creazione di un’Unione Eurasiatica.
Ma questa ricostruzione, largamente diffusa dai media occidentali, è respinta da Felix Stanevskiy, già ambasciatore russo in Italia, oggi commentatore per diversi organi d’informazione tra cui Il Foglio. In una conversazione con Formiche.net, l’ex diplomatico spiega perché l’Occidente fatica a comprendere le dinamiche presenti nell’Est europeo e come, con gesti avventati, possa mettere a repentaglio la stabilità nella regione.
Ambasciatore Stanevskiy, com’è nata la protesta di piazza Maidan?
Quello che sta accadendo in Ucraina ha certamente radici interne. Ma in ogni Paese lo spazio sociale del malcontento di tanto in tanto si allarga e si restringe, mai scomparendo del tutto. La Grecia di un anno fa avrebbe evitato una rivoluzione se potenti forze esterne non avessero solidarizzato con una larghissima protesta contro la politica economica e sociale del governo? Le rivoluzioni colorate in Ucraina del 2004 e del 2014 come quelle in Serbia, Georgia, Kirghizia hanno vinto perché all’insoddisfazione di vasti strati popolari si è aggiunto il fattore esterno. A parte la solidarietà con la protesta che si è espressa nelle forme più svariate, una forte pressione dei dirigenti occidentali su Yanukovich immobilizzandolo ha spostato l’ago della bilancia in favore dell’opposizione.
La rivolta è stata dettata davvero dalla volontà di aderire all’Unione europea o c’è altro? E da chi è composto il fronte degli scontenti?
Come sempre la prima ad opporsi è stata l’intellighenzia di Kiev, questa volta particolarmente sensibile ai richiami dell’Europa. All’inizio manifestazioni si sono svolte sui temi della scelta europea dell’Ucraina. Ne hanno preso parte studenti, piccoli e medi imprenditori e commercianti, dipendenti statali, impiegati – insomma è stato certamente un ampio movimento popolare. È vero che pochissimi sapevano che cosa comporti l’associazione all’Ue. Molti credevano di poter girare nei Paesi europei liberamente, senza visti e magari trovarsi un impiego ben pagato. Altri vedevano nell’appartenenza all’area dell’Ue una specie di bacchetta magica, capace di assicurare in un batter d’occhio il tenore di vita tedesco.
Nel frattempo il Sud-Est russo dell’Ucraina, legato alla Russia, anche se contrario al progetto europeo rimaneva in attesa: Yanukovich ha deluso tutti.
Col passare dei giorni la divisione tra il Centro-Ovest e il Sud-Est si è allargata. All’opposizione si sono associati massicciamente numerosi gruppi di nazionalisti e reparti paramilitari provenienti dalle regioni occidentali. Bene addestrati e organizzati hanno trasformato manifestazioni inizialmente pacifiche in attacchi contro le Forze dell’ordine con l’impiego di bottiglie molotov, altri ordigni di battaglia e infine si sono procurati kalashnikov.
C’è chi sostiene che la reazione violenta della piazza sia arrivata solo dopo la repressione della polizia.
Si può a lungo discutere se il reparto speciale di polizia Berkut abbia reagito agli attacchi dei manifestanti in modo adeguato. Non sono poche le situazioni in cui anche le polizie dei Paesi occidentali, nonché dei loro alleati, reagiscono in modo brutale a proteste assai meno violente. Vogliamo ricordare gli eventi a Los Angeles del 1992: 53 morti e 1 miliardo di dollari di danni? Guerriglieri irresponsabili a Kiev hanno occupato con forza alcuni ministeri ed enti pubblici, scombussolando tutto il sistema statale. Basti dire che si sono impossessati del ministero dell’Energia mettendo in difficoltà la vita di milioni di ucraini e non solo di loro, in un Paese con 15 reattori nucleari in funzione. È scaturita da questo la reazione delle Forze di polizia Berkut, composte in gran parte di giovani dell’Est, che hanno facilmente vinto la battaglia armata, liberando la gran parte del territorio occupato.
Dopo la deposizione di Yanukovich, qual è la situazione politica oggi in Ucraina?
In una parola: il caos. La figura politica più importante non è né il pugile Klitschko, favorito della Germania, né l’ex presidente della Rada Arseny Jatzenjuk, beniamino degli Usa divenuto premier ad interim, né tanto meno il leader del partito nazionalista “Svoboda”, Oleg Tjagnibok. Il potere reale si trova nelle mani dei gruppi paramilitari e dei lori capi, per esempio Dmitry Jarosh, boss del raggruppamento paramilitare “Il settore di destra”. È in ombra nell’attuale dirigenza, ricoprendo il posto di vice-presidente del Consiglio di sicurezza nazionale per non compromettere “la nascente democrazia ucraina”. Ma il governo e il parlamento sono “difesi” da ex guerriglieri suoi e di altri capibranco che si ispirano a Stepan Bandera, un terrorista antipolacco, antirusso e antisemita degli anni ’30 del secolo scorso. Per i russi, ma non solo, Bandera è un simbolo del nazismo. Il fatto che sognasse un’Ucraina indipendente dall’Urss non cambia il giudizio sulla sua persona e sui suoi eredi.
Come giudica le mosse di Europa e Usa nel risiko ucraino?
Nessuno dei dirigenti russi, deputati della Duma, alti funzionari dello Stato, ha visitato l’Ucraina negli ultimi mesi. Era una chiara manifestazione della posizione del Cremlino: gli ucraini devono decidere da soli sul da farsi. Non si sa che genere di contatti non pubblici siano stati mantenuti. Ma qui siamo nell’ambito delle supposizioni che per definizione non valgono un gran anche se largamente sfruttate dai media occidentali. L’Occidente però si è pesantemente sbilanciato inviando a Kiev fior fiore del suo mondo politico. Mi ricordo come noi, funzionari dell’ambasciata sovietica e poi russa, avevamo timore di capitare per caso vicino a una qualsiasi manifestazione a Roma: guai a farsi sospettare di un qualsiasi coinvolgimento negli affari interni italiani! È stato un principio strettamente rispettato da tutte le ambasciate, da tutti i ministeri degli esteri. A Kiev nell’apice della contrapposizione abbiamo visto in Tv diplomatici occidentali stringere la mano di oppositori, parlare con loro. Si è giunti a un fatto inaudito per chi ricorda le norme diplomatiche che nessuno aveva abolito: il ministro degli Esteri di un importantissimo Paese europeo cammina insieme ai manifestanti della protesta. In barba all’etica e alla morale che pur hanno un valore nelle relazioni tra i Paesi.
Mi chiedo se l’Occidente capisca bene quello che fa. L’ex presidente Francesco Cossiga ha notato una volta: “I nostri alleati americani si sono mossi senza conoscere l’Iraq, e senza prevedere” il dopo Saddam. Sono del parere che tutte le rivoluzioni “colorate”, ivi inclusa “la primavera araba”, siano fallite perché l’Occidente con a capo gli Usa si muovono nei Paesi dell’Est senza conoscerli e senza saper prevedere le conseguenze.
Perché, secondo i media occidentali, Mosca cercherebbe di sottrarre Kiev all’orbita dell’Ue?
Innanzitutto vanno fatte delle considerazioni su alcuni stereotipi dei media occidentali. Viktor Yanukovich non è mai stato filorusso o per essere più precisi non è mai stato filorusso più che filo-europeo. È vero che il Cremlino l’ha appoggiato alle elezioni presidenziali del 2004, ma soltanto in qualità di rivale di Viktor Yuscenko, candidato delle forze anti-russe per eccellenza. Era, come si suol dire, il male minore. L’ultimo presidente ucraino sin dall’inizio si è dichiarato anzi sostenitore della scelta europea, anche se era più cauto di Yuscenko su un’eventuale adesione ucraina alla Nato. Appena eletto ha detto di no a un’integrazione con la Russia nell’ambito dell’Unione Eurasiatica ed ha accentuato il suo orientamento europeo. Nel corso degli ultimi anni la campagna mediatica in favore dell’associazione ucraina a Bruxelles è diventata particolarmente pressante. Una delle ragioni del fallimento di Yanukovich è stato l’estremo contrasto tra la ruota propagandistica che aveva fatto girare ad altissima velocità per esaltare il destino europeo del Paese e lo stop con cui egli stesso ha del tutto inaspettatamente bloccato questa ruota.
Allora perché, in questi giorni, il Cremlino ha sostenuto in modo così convinto Yanukovich?
Perché un altro stereotipo è che sia stata “l’ingerenza del Cremlino ad ostacolare l’associazione dell’Ucraina all’Ue”. Certo, quest’associazione pare nociva sia agli ucraini sia ai russi. Nello specifico a noi non garba per una lunga serie di ragioni. La più evidente, anche se non la più importante, è la seguente: l’economia ucraina, non competitiva con quella europea, sarebbe inevitabilmente distrutta da un’adesione a Bruxelles. Ne consegue che il business russo, attivo e largamente presente in Ucraina, dovrà subire laute perdite. Ma non solo. Distrutta l’industria, com’è pure il caso dei Paesi baltici, gli ucraini si riverserebbero massicciamente in Russia. Non c’è scampo, lo dice esplicitamente il caso dei Paesi baltici spopolati dall’esodo verso le nazioni del nord europeo. In Lituania, su circa 3 milioni di abitanti, 500 mila l’hanno lasciata, senza contare quelli che sono emigrati senza farsi registrare. La disoccupazione nelle tre repubbliche baltiche s’aggira attorno al 20% per cento della popolazione. Simili conseguenze, anzi assai più pronunciate, si possono aspettare per gli ucraini. In caso di default loro andranno non tanto in Europa quanto in Russia. Negli ultimi anni, secondo i dati del Ufficio federale dell’immigrazione, la Russia ha accolto circa 3,5 milioni di immigrati ucraini. Si può capirli, dato che i salari in Russia sono tre volte superiori a quelli di Kiev. E che nella vita quotidiana non si sente la differenza tra gli uni e gli altri: quasi tutti gli ucraini parlano perfettamente russo, non pochi meglio il russo che l’ucraino. I nomi e cognomi ucraini e russi sono quasi sempre uguali. La Russia indubbiamente accoglierà il flusso umano dal Paese, considerato il parente più stretto. La Duma sta già preparando una legge per alleggerire l’ottenimento della cittadinanza russa per gli ucraini. Ciò non toglie il fatto che qualsiasi immigrazione massiccia comporta non poche difficoltà.
L’Europa accusa però Mosca di giocare sporco.
Sono due gli argomenti principali dell’Occidente: la Russia ha minacciato l’Ucraina di limitare l’interscambio commerciale; e concedendo il prestito di 15 miliardi di dollari a Kiev e riducendo fortemente il prezzo del gas intende sottometterla al suo volere. Sorvolo su quest’ultima prova dell’ingerenza russa perché è fuori della logica. La prima però sembra rifiutare allo Stato russo il diritto/dovere di garantire un interscambio come minimo non dannoso per i propri cittadini. Se lasciassimo il regime di oggi nelle relazioni commerciali con l’Ucraina dopo la sua associazione all’Ue, una valanga di prodotti occidentali affluirebbe in Russia, comportando un fenomeno di chiusura di imprese russe e un aumento della disoccupazione. Non possiamo permettercelo.
Perché la Crimea è così importante per la Russia?
Oltre all’aspetto geopolitico e al volume di scambi commerciali e di business nella regione, la percentuale di quelli che parlano russo arriva al 97%. È la Russia che divide gli ucraini oppure a creare divisioni interne è l’ex opposizione appoggiata dall’Occidente? I nazionalisti radicali ucraini vogliono uguagliare i Paesi baltici, membri dell’Ue e della Nato; 22 anni dopo lo sfascio dell’Urss, centinaia di migliaia di russi rimangono “non cittadini” in barba ai principi della democrazia occidentale. Perché è una democrazia selettiva: gli zingari vanno difesi, i gay altrettanto. Ma non i russi, perché in tre Paesi della democratica Ue sono ufficialmente gente di seconda categoria: “non cittadini”. Sa di razzismo, no? In ogni caso è un’esperienza che ispira il nazionalismo estremista in Ucraina. E non vorremmo che si ripeta anche per i russi di Crimea.
Quali saranno le prossime mosse della Russia? Putin invierà davvero le sue truppe in Crimea? Se sì con quali effetti?
Al giorno d’oggi (non posso prevedere cosa succederà tra un paio di mesi) sono sicuro che Putin non invierà le sue truppe in Crimea. Il problema tra tanti altri è che in Russia ci sono migliaia di giovani che vorrebbero andare in Ucraina a difendere il Sud-Est. E sarà facile impedirglielo. L’Occidente non capisce che l’Ucraina e la Russia sono davvero molto legate una all’altra: centinaia di migliaia di famiglie miste, milioni di parenti per non parlare di amici e conoscenti. Chi può frenare i russi che vogliono andare in Crimea o a Charkov in aiuto di loro fratelli o madri, o zii, o cugini? Le frontiere sono facilmente attraversabili, non c’è bisogno di visti. A questo va aggiunta una profonda ferita psicologica che non si cicatrizza: non si accetta il fatto che nel 1954 la Crimea è stata regalata per sempre a Kiev dal comunista ucraino Krusciov (allora a capo dell’Unione sovietica) senza alcun fondamento giuridico, violando la Costituzione dell’Urss e senza chiedere alcun consenso popolare. Vale a dire che l’Occidente, benché esprimendosi per l’integrità territoriale ucraina, dovrebbe muoversi con più elasticità.
In cosa sbaglia l’Europa?
Purtroppo i giochi geopolitici dell’Occidente valgono più di ogni ragionevolezza. E allora non ci si deve meravigliare se l’Occidente con tutte le guerre, e nonostante le prime vittorie, in fin dei conti sta sempre più perdendo.
C’è da aspettare per capire sviluppi ulteriori. Non dico che tutto è già perso. Dico che si tratta di un trend negativo con eventuali conseguenze nefaste. Bisogna bloccare questo trend pericoloso per la Russia come per la stessa sicurezza europea. E lo devono fare prima di tutto i Paesi occidentali che tanto hanno contribuito alla crescita della “Banderabewegung”. Altrimenti accadrà come in Libia: volevano combattere il dittatore ed hanno distrutto un Paese relativamente benestante, facendo espandere l’islamismo radicale in Africa e nel Medio Oriente. O come in Siria, dove volevano combattere Assad e hanno rafforzato Al-Qaeda.
D’altro canto, anche nel Vecchio Continente bisognerebbe saper scegliere cosa fare. C’è in Europa una visione manichea che presuppone l’esistenza permanente della scelta tra il bene e il male. La realtà è più complessa, e troppo spesso si è di fronte all’alternativa tra il male ed il molto male. Non bisognerebbe incoraggiare illusioni circa il prossimo ingresso dell’Ucraina nella paradisiaca Ue. L’Occidente non sa aspettare, gli fa piacere illudersi che il mondo sia ovunque maturo per la democrazia. Basta abbattere dittatori e governanti corrotti ed autoritari. Un’illusione che questa volta rischia di costare caro agli ucraini, ai russi in Ucraina, alla Russia e, credo, alla stessa Europa.