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Perché Juncker fa bene a bacchettare Berlusconi. Parla Gargani

Prima Jean Claude Juncker, candidato Ppe alla presidenza della Commissione europea, poi addirittura una nota del portavoce della Cancelliera Angela Merkel. Non si spegne l’eco delle parole che Silvio Berlusconi ha rivolto contro Berlino sui lager (“per i tedeschi non sarebbero mai esistiti”). Secondo Juncker le dichiarazioni dell’ex premier sono “nauseanti”. Formiche.net ne ha parlato con l’eurodeputato uscente dell’Udc Giuseppe Gargani e candidato alle elezioni del 25 maggio nelle liste Ncd-Udc.

Juncker chiede a Berlusconi di scusarsi con Berlino: ha ragione?
Quelle di Berlusconi sono dichiarazioni inopportune, sbagliate e sopra le righe che nascondono la demagogia strisciante che lo caratterizzerà sempre più nelle prossime settimane in una posizione di destra arretrata e retriva. Per la verità in quella frase aggiunge anche un elemento equivoco.

Quale?
Attribuisce ad una parte della popolazione tedesca la negazione dei campi di concentramento. Il negazionismo c’è stato, ma l’ex premier da un lato si è posto come un paladino e dall’altro ha professato frasi equivoche per poter andare contro la Germania. Ma è evidente che quel Paese e la sua classe dirigente non hanno mai fatto allusioni simili. Per cui è solo sull’equivoco che Berlusconi ha giocato, con parole che lasciano il tempo che trovano.

Sono irrimediabilmente compromessi i rapporti tra Fi e Ppe?
Credo di sì. Il Ppe strategicamente ha voluto seguire le orme del compianto presidente Marteens, di stigmatizzare un’adesione formale di Fi. Berlusconi non si è mai voluto realmente dichiarare popolare. Il suo ingresso nel 1999 fu accettato, in quanto l’allora Ppi era andato a sinistra confondendosi con l’allora Pds. Ma ribadisco che si è trattato di un passo solo formale. Tra l’altro Berlusconi non ha mai pensato di farsi chiamare popolare, per cui naturalmente la tattica ha poi prevalso sulla sostanza e non è mai stato estromesso di fatto dal Ppe. Probabilmente non ci resterà che approfondire e attendere gli sviluppi di questa campagna elettorale per vedere come andrà a finire. Ma i suoi atteggiamenti lasciano già molto a desiderare.

Juncker dice inoltre che all’Europa serve unità dopo la crisi e non ulteriori divisioni: in che modo ritrovarla?
Siamo in forte ritardo. Proprio nei momenti di crisi l’Europa sarebbe dovuta essere unita, per offrire un valore politico. Le crisi si risolvono tutte con una strategia: la politica è la vera e unica strategia. Immaginare che la crisi finisca senza l’apporto della politica è un errore madornale. Molto pericoloso illudersi che solo dopo la fine del tunnel economico-finanziario si possa fare l’unione politica. In una recente intervista il ministro dell’Economia italiano ha osservato che non ci saranno a breve gli Stati uniti d’Europa: questo scetticismo non mi appartiene.

Come realizzarli dunque?
E’ l’unico obiettivo vero di un’Europa che intende rinnovarsi e lo stesso Padoan in quell’intervista ha aggiunto che senza un’unità politica non si potrà ottenere una nuova Ue. Due assunti evidentemente in contraddizione. De Gasperi sessant’anni fa immaginava un’unità politica che per la verità è stata promossa solo all’inizio, quando vi erano i quindici Stati membri.

E oggi?
Improvvisamente sono diventati ventisette, con una difficoltà di organizzazione evidente. Tra i 15 c’era già un rodaggio che andava solo meglio raffinato. Ma poi Prodi immaginò di compiere un passo strepitoso con l’allargamento, rallentando il processo. Per questo l’Ue è diventata più burocratica con un’intesa politica complicatissima. Oggi siamo in 28 e le difficoltà iniziali sono inasprite dalla crisi economiche con un processo di unificazione che è ancora più disarticolato. Quando c’è la burocrazia, manca l’anima.

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