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F-35, perché le divisioni interne al Pd non minacciano troppo il programma

f-35

Acque agitate nel Partito Democratico sul programma di acquisto degli F-35. Nei giorni scorsi il capogruppo Pd in commissione Difesa ha richiesto lo slittamento, al prossimo 17 aprile, della discussione sul documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sui sistemi d’arma. Sinistra ecologia e libertà si è dichiarata contraria, affermando che “non si può più aspettare che le varie anime del Pd, quella pacifista e quella più atlantica, si mettano d’accordo“, e che “è necessario cancellare il programma d’acquisto dei Joint strike fighter per recuperare risorse da investire per combattere la crisi“.

Anche per questo, la discussione prevista in commissione Difesa starebbe slittando. Raggiunto telefonicamente da Formiche.net, il capogruppo del Pd in commissione Difesa Gian Piero Scanu ha tenuto a sottolineare che non c’è nessuna frattura tra i democratici, ma che le riunioni sono state sinora rimandate a causa di impegni concomitanti e che il timing previsto per lo svolgimento della discussione sul documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sui sistemi d’arma “sarà rispettato” (e forse addirittura anticipato a “giorno 9“). Tuttavia al Nazareno non sembra esserci una posizione univoca sul destino del coinvolgimento italiano nel programma Jsf.

L’APPELLO DI OBAMA
Le idee sono diverse e devono scontrarsi tutte con il richiamo fatto recentemente da Barack Obama nella sua visita a Roma. Se è vero che il nome dei velivoli americani, ai quali partecipa Finmeccanica, non è mai stato esplicitato, è altrettanto rilevante come il capo di Stato Usa, durante la conferenza stampa a Villa Madama con Matteo Renzi, abbia posto l’accento sul fatto che una difesa comune comporta responsabilità condivise. La “libertà ha un costo“, ha detto poi Obama, rimarcando come Washington ritenga troppo scarse le risorse impegnate da quasi tutti i partner dell’Alleanza Atlantica per le spese militari. Ciò costituisce un punto di partenza politico per la discussione su un possibile ulteriore taglio del governo ai velivoli ordinati dall’Italia (al momento sono 90, ma si parla di scendere a 45).

LE POSIZIONI NEL PD
Il ministro Roberta Pinotti, intervenendo davanti alle commissioni di Camera e Senato e successivamente in interviste pubbliche, ha espresso una posizione prudente e ragionata che cerca di tenere conto dei ruoli dei diversi livelli istituzionali (Parlamento anzitutto) e delle dichiarazioni del premier in termini di spending review. Sulla stessa linea del governo – ovvero riorganizzare della Difesa, senza procedere a tagli lineari – vi è un gruppo che si identifica nella posizione espressa dal capogruppo in Commisione difesa al Senato, Nicola Latorre, che in più di un’occasione ha difeso l’importanza strategica ed economica di non ridimensionare ulteriormente l’impegno italiano nel programma.
Su posizioni opposte c’è il fronte capeggiato dai democratici Paolo Bolognesi che insieme Scanu, anche lui firmatario del testo insieme ad altri 40 deputati dem, ha promosso una recente inchiesta parlamentare sulle spese militari.

IL RUOLO DELL’ITALIA
Nonostante le divisioni, gli Usa continuano a credere nel ruolo italiano nel programma F-35, del quale evidenziano contestualmente i vantaggi per il Paese. Dopo il report di PricewaterhouseCoopers che riporta minuziosamente le ricadute economiche per l’Italia derivanti dall’adesione al Jsf e la notizia dei costi in discesa contenuta nell’ultimo rapporto del Gao presentato al Congresso americano, ieri è stato Joe Della Vedova, portavoce dell’operazione F-35 per il Pentagono, a sostenere che “la fornitura complessiva” di caccia “all’Italia è rimasta invariata” al momento. “Può darsi – si legge – che in futuro ci saranno aggiustamenti, magari sui tempi degli acquisti, ma per ora non sono arrivate comunicazioni formali in proposito“.
Le dichiarazioni, contenute in un articolo di Paolo Mastrolilli sulla Stampa, fanno intendere che Palazzo Chigi stia vagliando con estrema attenzione il dossier, senza cadere in valutazioni precipitose. “Ci rendiamo conto – dice Della Vedova al quotidiano diretto da Mario Calabresiche in Italia è cambiato il governo e che in Italia è cambiato il governo, e quindi i nuovi leader devono essere informati per prendere le loro decisioni. Su questo progetto, infatti, circolano anche molte notizie sbagliate. Inoltre è chiaro che la crisi economica in corso ha pesato sui bilanci di tutti“.
Alla luce di questi problemi, una soluzione che alcuni Paesi membri stanno adottando – spiega ancora il portavoce – è ritardare i propri acquisti, senza modificare i numeri: “Lo ha fatto la Norvegia, e gli stessi Stati Uniti. Gli Usa si sono impegnati a comprare 2.423 F35 e questo totale non è mai cambiato. Tuttavia nel bilancio per il 2015, appena presentato dal presidente Obama, l’acquisto di alcuni aerei previsto nell’arco dei prossimi cinque anni è stato rinviato. Avverrà, ma più avanti nel tempo, per consentire ora dei risparmi. Su questo non c’è alcun problema“.

I VANTAGGI PER L’ITALIA
E poi, sottolinea Della Vedova, come già detto in precedenza “ci sono almeno tre ragioni per cui un Paese come l’Italia trarrebbe vantaggio dalla conferma degli impegni attuali. La prima sta nella produzione stessa: voi ospitate uno stabilimento (Cameri), e ognuno degli oltre tremila caccia che verranno costruiti e venduti avrà parti realizzate dalle vostre aziende; La seconda sta nella manutenzione, gli F-35 voleranno per almeno venti o trent’anni, e durante questo periodo avranno bisogno di assistenza (l’Italia è coinvolta nella manutenzione); la terza ragione, poi, sta nel recupero degli investimenti iniziali. Come Paese fondatore del progetto, voi avete partecipato al suo sviluppo, e quindi avete il diritto di ricevere i compensi relativi alle adesioni future“.



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