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Gli scienziati capiscono l’opinione pubblica?

In questi ultimi tempi è diventato sempre più evidente, in particolare in Italia, il conflitto tra opinione pubblica e posizione degli scienziati. Basta pensare agli OGM (organismi geneticamente modificati) o al caso Stamina. Sta nascendo il problema dei vaccini, e non è difficile anticipare che in prossimo futuro ci saranno discussioni molto accese riguardo ai dati di sequenziamento del DNA, la medicina personalizzata, il fai dai te della genetica e la privacy. Non è solo un problema delle scienze biomediche. Situazioni simili si ritrovano in altri argomenti di pubblico interesse come il nucleare e il riscaldamento globale.

In tutti questi casi, e in molti altri ancora, gli scienziati si dividono tra quelli che preferiscono disinteressarsi del problema rinchiudendosi in una specie di torre d’avorio e quelli che semplicemente bollano le posizioni di gruppi dell’opinione pubblica come anti-scientifiche e irrazionali. In questo modo si apre la strada al populismo della politica e a chi cerca di ricavare vantaggi personali, anche a costo di passare senza tanti scrupoli sulla salute dei pazienti.

Se proviamo ad affrontare la cosa con una prospettiva più distaccata risulta però ovvio che, al di là delle argomentazioni sui singoli casi, esiste un problema più generale che origina dalla complessità delle nostre società tecnologicamente avanzate. Un problema che non può venir liquidato rinunciando ad occuparsene o bollando gli oppositori come ignoranti. Che fare?

E’ convinzione generale tra i ricercatori che l’opposizione alla scienza nasca da una cattiva informazione. Già questo sarebbe motivo per giustificare un ruolo più attento e attivo dei ricercatori verso la diffusione del sapere. Ma è chiaro che questo è solo un aspetto, forse il più semplice, del problema.

Non è vero che l’opposizione alla scienza nasca solo da una cattiva conoscenza o da una mancanza di strumenti culturali adeguati. Ad esempio, negli USA l’opposizione all’idea del riscaldamento globale tra gli elettori repubblicani è molto più forte tra le persone con un elevato livello culturale. In alte parole, l’opposizione ha spesso le sue radici in motivazioni politiche, culturali, ideologiche, che non possono venir superate con la semplice diffusione delle informazioni. E’ un problema di fiducia verso gli scienziati. Bisogna superare l’dea sempre più diffusa che chi pratica scienza sia un corpo estraneo alla società, legato ora ad interessi di potentati economici (l’obiezione sollevata dagli oppositori degli OGM) ora a ideologie (l’effetto serra è un’invenzione degli scienziati pro-verdi e anti-capitalistici).

In Italia poco si fa per cercare di affrontare in modo più attento queste problematiche. Negli USA l’American Academy of Arts & Sciences, da tempo si occupa di questi argomenti cercando di identificare strumenti e strategie adeguate per arrivare ad un “contratto” tra società e scienza, per immaginare un modo attraverso il quale la società possa utilizzare appieno le nuove tecnologie riducendo il rischio a livelli considerati accettabili.

Il nocciolo della questione è quello di costruire e mantenere la fiducia dell’opinione pubblica nei confronti della scienza. Questo richiede che gli scienziati cerchino di capire meglio quali sono le esigenze e le paure del pubblico e operino, attraverso la comunicazione diretta e continua, per stabilire un rapporto produttivo con la gente. Non si tratta di definire cosa sia valido in termini scientifici. Si tratta di immaginare un percorso comune nel quale la scienza non venga vista come qualcosa di estraneo alla società. Significa essere disposti a ricevere e discutere suggerimenti di non scienziati per arrivare ad un consenso comune sull’utilizzo delle tecnologie. Stabilire insieme quali sono i rischi e i benefici. Discutere dei valori etici esterni alla scienza. Stabilire dei ponti tra scienze dure e umanistiche. Utilizzare ogni occasione per aumentare la fiducia dell’opinione pubblica verso la scienza.

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