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Ecco come il Tar respinge la furia statalista sulle gestioni private dell’acqua

L’acqua è un bene comune. Ma la gestione e la fornitura del servizio idrico non deve essere necessariamente pubblica. È il significato delle due sentenze rese pubbliche a fine marzo dal Tribunale amministrativo della Lombardia, con cui vengono respinti i ricorsi presentati dall’associazione “Acqua Bene Comune”, da Federconsumatori e dal Codacons contro l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, la Presidenza del Consiglio e il Ministero dell’Ambiente.

Una delibera illegittima?

L’iniziativa legale riguardava alcune aziende private fornitrici del servizio idrico, che a giudizio delle organizzazioni a tutela dei consumatori e del Forum dei movimenti sull’acqua avrebbero beneficiato di tariffe illegittime frutto di una delibera dell’Authority ritenuta in antitesi con il responso referendario della primavera 2011.

La riflessione controcorrente di Andrea Orlando

Un tema nevralgico, che concerne l’accesso universale a una risorsa fondamentale, lo sviluppo del tessuto imprenditoriale, le scelte politiche. A riprova della sua complessità vanno ricordate le parole pronunciate dall’ex responsabile dell’ambiente Andrea Orlando meno di un anno fa in occasione del Festival dell’Acqua: “È chiaro a tutti che gli investimenti per il settore idrico non possono essere fatti dallo Stato ma devono essere finanziati con le tariffe per coprire i costi del servizio. È dunque necessario rompere luoghi comuni consolidati”.

La delibera dell’Autorità

Rientra nell’orizzonte prefigurato da un rappresentante politico non sospettabile di simpatie neo-liberiste il contenuto delle sentenze emesse dal TAR della Lombardia. Decisioni che sanciscono il “carattere economico” della gestione e fornitura di acqua. E stabiliscono che per giungere a un regime pienamente pubblicistico nel servizio non è sufficiente l’esito della consultazione popolare abrogativa né è pensabile un atto di giurisprudenza innovativa. Perché vi è bisogno di un intervento complessivo e radicale del legislatore.

La controversia giuridico-amministrativa scaturisce da una deliberazione assunta il 28 dicembre 2012 dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, con cui venivano approvate le tariffe relative al servizio idrico per gli anni 2012 e 2013. La decisione, frutto dell’attribuzione per legge dei poteri di controllo e regolazione all’organismo indipendente, provocò la reazione delle associazioni dei consumatori. A loro parere la delibera negava il risultato dal referendum del giugno 2011, che aveva eliminato i riferimenti alla “logica di profitto” nella gestione delle forniture di acqua alla popolazione.

La disciplina vigente

Le regole in vigore all’indomani della consultazione abrogativa prevedono il pagamento in bolletta di una tariffa corrispondente alla qualità delle risorse e del servizio offerti, agli interventi di adeguamento, manutenzione e modernizzazione degli impianti, all’entità dei costi di gestione delle opere. La filosofia ispiratrice delle norme è la garanzia della copertura integrale degli investimenti secondo il principio del “recupero dei costi” e della penalizzazione economica di chi inquina.

Recupero dei costi. Non più “adeguatezza della remunerazione del capitale investito” come previsto nella normativa abrogata dal referendum. Un margine di profitto che era stato fissato al 7 per cento delle spese sostenute, allo scopo di agevolare gli investimenti produttivi nel settore dei servizi idrici. Ma che, assicurando alle aziende un introito prestabilito, si era trasformato in una rendita parassitaria contraria alle logiche di mercato.

Nessuna logica di profitto

Per le organizzazioni promotrici della consultazione popolare, deve essere esclusa ogni forma anche surrettizia di utile nella gestione delle risorse idriche. Ai loro occhi non è ammissibile nessuna entrata economica superiore all’equilibrio tra costi e ricavi. Nessun “affare” è consentito alle imprese attive nel comparto dell’acqua. Una lettura rigida e restrittiva del responso referendario e del verdetto con cui la Corte Costituzionale aveva dato il via libera alla consultazione spiegando “che il quesito ammesso mira a rendere estraneo il governo delle risorse idriche dalle logiche del profitto”.

L’interpretazione estensiva dell’Authority

Un punto che l’Autorità per l’energia ha riconosciuto soltanto in parte nella deliberazione del 2012. Perché se da un lato esclude ogni “componente remunerativa del capitale investito”, dall’altro proclama “la necessità di un’integrale copertura dei costi connessi agli investimenti e alla gestione del servizio”. Costi che a suo avviso vanno inseriti nella tariffa. È tale decisione che ha provocato il ricorso di “Acqua Bene Comune”, Federconsumatori e Codacons, convinti che in tal modo verrebbero riaperte le porte alle logiche di profitto bocciate dal referendum.

Critiche a cui il collegio dei giudici lombardi risponde attendendosi all’analisi delle regole vigenti nella cornice giuridica europea. A suo parere la consultazione popolare non ha abrogato la “natura e l’interesse economici” presenti nella raccolta, depurazione, trasmissione e fornitura dell’acqua. Ciclo produttivo che implica costi per gli operatori. Le cui spese devono avere “riscontro integrale” nella bolletta. Un fattore essenziale per l’autosufficienza economica della gestione, che si raggiunge attraverso l’equilibrio fra uscite e ricavi.

Gli interrogativi privi di risposta

L’equilibrio tra le due voci, rimarca l’Authority, è nozione diversa dal profitto in cui le entrate oltrepassano le spese. È qui il punto più fragile e controverso nelle sentenze del TAR, che omettono di tracciare un confine limpido e inequivocabile tra “riconoscimento tariffario della copertura integrale dei costi per la gestione del servizio” e “remunerazione adeguata agli investimenti effettuati”. Se venisse esclusa la possibilità di margini di profitto, quale sarebbe l’incentivo per gli operatori privati a intervenire nella fornitura dell’acqua?

Ritornare a un governo pubblico dell’acqua?

A qual punto troverebbero spazio soltanto “modelli pubblicistici di gestione”, nel quale lo Stato o gli enti territoriali garantiscono l’attività idrica con capitale autonomo. L’esclusione degli imprenditori privati si porrebbe in palese contrasto con i principi di concorrenza e economicità della gestione dell’acqua ricordati da Orlando. Ma in ogni caso, osservano i giudici amministrativi, una finalità del genere richiede un intervento legislativo coerente. Non basta l’esito referendario.

Un regime tariffario flessibile e di mercato

Per ora, comunque, la remunerazione degli investimenti non sarà stabilita a priori con una misura automatica ed eguale per tutti. L’Autorità ha optato in vista del biennio 2014-2015 per una tariffa variabile, adeguata e rispondente agli effettivi investimenti per il miglioramento della rete e degli impianti a favore dell’utenza, e ai concreti vantaggi per i consumatori. E i primi risultati sono visibili: i costi di impresa che devono essere riconosciuti in bolletta sono calati.

La soddisfazione delle imprese

Il riconoscimento della legittimità del nuovo regime tariffario e del carattere economico della fornitura dell’acqua suscita soddisfazione nella Federazione delle imprese energetiche e idriche, che per bocca del direttore generale Massimiliano Bianco saluta “la frenata della deriva populista avviata con il referendum del 2011 e mirante a smantellare la liberalizzazione dei servizi pubblici locali”.

A suo giudizio la deliberazione del TAR lombardo costituisce un requisito essenziale per gestire i “grandi investimenti messi in cantiere” dalle aziende del settore. Una realtà, spiega il manager, che presenta un fabbisogno di risorse stimato in 5 miliardi annui. Volume oggi ridotto a un terzo.

Concorrenza e universalità del servizio idrico

Bianco nutre fiducia nella capacità di tutti gli operatori di realizzare una concorrenza virtuosa nell’intero territorio nazionale. Per le caratteristiche di monopolio naturale connesse al bene dell’acqua, una competizione di mercato è praticabile nell’assegnazione della fornitura idrica da parte di istituzioni e autorità delegate.

La priorità, rileva il direttore di Federutility, è accelerare la gestione unitaria e omogenea nelle realtà geografiche per arrivare a una copertura universale e ottimale del servizio in tutte le fasi: ricerca e raccolta dell’acqua, depurazione e destinazione domestica o industriale. È qui che verrà messo alla prova il valore delle imprese, a prescindere dal loro status privato o pubblico.

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