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Mps, lo stato di salute della banca e della fondazione secondo Brandani, De Mattia, Grillo e Gronchi

È possibile distruggere un patrimonio incommensurabile a causa di clamorosi errori di gestione ad opera dei vertici di una grande banca e della fondazione ad essa collegata? Sembra di sì. Almeno rivivendo le tappe recenti dell’esperienza secolare di MPS, ricostruita nel libro “I compagni del Monte. Politici e banchieri di una storia italiana” scritto dal caporedattore della Nazione a Siena Tommaso Strambi e presentato all’Istituto Luigi Sturzo di Roma.

(CHI C’ERA ALLA PRESENTAZIONE. LE FOTO DI UMBERTO PIZZI)

LE RAGIONI DI UN LIBRO

Un volume che tramite il ritratto arguto dei rappresentanti dell’ex gigante creditizio e delle sue capillari ramificazioni ne mette in luce la pervasività, e spiega le ragioni del consenso unanime che la città toscana gli ha sempre riservato. Redatta da Tommaso Strambi ben prima dell’esplosione dello scandalo, l’opera non racconta una vicenda giudiziaria ma le pagine di storia di una banca che dalla fondazione nel 1472 al 2000 è cresciuta e ha diffuso benessere.

Alimentando nello stesso tempo la “megalomania” senese, che “spingeva i rettori dell’Università cittadina a coltivare ambizioni di una nuova Oxford e i politici locali a voler trasformare il piccolo aeroporto militare nel più grande scalo del Centro Italia”. Aspirazioni alimentate grazie alle risorse stanziate dal “babbo Monte” e che hanno raggiunto la cifra record di 287 milioni in un anno. Fino a quando l’odierno vertice ha rimesso in navigazione la barca MPS rendendola nuovamente appetibile per investitori e risparmiatori.

TROPPI POTERI IN UN’UNICA PERSONA

Amministratore di MPS dal 1977 al 1997, e oggi tra l’altro presidente della Fondazione Formiche, Alberto Brandani, ha fatto riferimento all’attuale management per risalire alle origini della crisi dell’istituto creditizio senese. Ricorda come al recente congresso della Federazione autonoma bancari italiani il numero uno del Monte Alessandro Profumo abbia spiegato che cinque anni di gestione di Giuseppe Mussari e Antonio Vigni hanno vanificato cinque secoli di storia gloriosa, gettando un patrimonio incommensurabile nelle mani di banche d’affari.

Una deriva resa possibile, spiega l’ex dirigente, dalla concentrazione nella figura dell’ex presidente di Mps di una straordinaria commistione di cariche e ruoli. A fronte di un ex direttore generale alla completa mercé del sindaco di Siena. “Una miscela che ha allontanato il governo del Monte dai principi più elementari del buon padre di famiglia”.

(BRANDANI, DE MATTIA, GRONCHI E GRILLO A PARLAR DI MPS. LE FOTO DI PIZZI)

MEGLIO LA LOTTIZZAZIONE?

“Molto peggio – ha aggiunto – di quanto accadeva con un Consiglio di amministrazione per molti anni composto da tre democratico-cristiani, tre socialisti, due comunisti, un laico-massone”. Il tutto perpetrato nel plauso unanime dell’intera città, che gioiva per il flusso enorme di quattrini destinati ogni anno a feste e celebrazioni, basket e calcio locale. Salvo scandalizzarsi per lo scarso tatto con cui sono intervenuti i “pompieri” Profumo e Fabrizio Viola.

METAMORFOSI MALRIUSCITA

Argomentazioni recuperate e sviluppate da un altro amministratore di MPS oltre che del Banco Popolare, Divo Gronchi, attualmente alla guida della Cassa di San Miniato. Tempo fa, ha osservato nel corso della presentazione moderata da Paolo Messa, il Monte e i suoi vertici relativamente stabili erano controllati e orientati dal popolo della città di Siena con le sue mutevoli maggioranze politiche. Adesso non è più così. Perché l’istituto creditizio “ha conosciuto una trasformazione repentina da organismo pubblico dipendente dal Tesoro, pur con ampi poteri e autonomia, a società per azioni”.

Nella quale, ha precisato Gronchi, non erano chiari il ruolo del presidente e del direttore generale, divenuto mero esecutore delle scelte del consiglio di amministrazione. La figura che più di ogni altra caratterizza la fisionomia di una moderna governance di mercato non è stata interiorizzata dal Monte dei Paschi. Un ritardo provocato anche dalla passività dimostrata dalla Banca d’Italia, oggi molto più attenta ai ruoli e alle dinamiche interne all’istituto di credito.

(LA SCOMMESSA VINTA DI ANTONELLA MANSI)

UN CASO RARO

Più benevolo nei confronti di Via Nazionale e dell’universo bancario italiano è Luigi Grillo, già parlamentare della Democrazia cristiana e di Forza Italia: “La vicenda del Monte e della sua fondazione, che nell’arco di dieci anni ha ridotto il proprio patrimonio da 7 miliardi a 350 milioni, costituisce un caso unico nel panorama creditizio”. Mondo che a suo avviso si è rivelato molto più solido rispetto a quello di grandi nazioni occidentali, i cui governi sono stati costretti a spendere risorse enormi per il salvataggio delle banche coinvolte nella crisi finanziaria.

Nel nostro paese, rileva Grillo, l’unico intervento pubblico finalizzato al risanamento dei bilanci di un istituto creditizio ha riguardato proprio MPS, nella forma dei Monti bond. Per il resto “non un euro è stato stanziato dai contribuenti”. E il merito, per l’ex collaboratore di Giovanni Goria, va ascritto all’azione convergente svolta dall’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio, dal Parlamento, dalle fondazioni. “Realtà che stanno ricoprendo un ruolo sussidiario molto prezioso rispetto al Welfare sempre più in crisi”.

IL PARADOSSO DEL MONTE

Un curioso contrappasso dantesco nella città rivale storica di Firenze è messo in rilievo da Angelo De Mattia, economista e columnist di Milano Finanza: “Per trovare rimedio ai ripetuti errori e alle gravi responsabilità gestionali degli ultimi tempi il Monte, tradizionalmente orgoglioso della propria autonomia e ‘senesità’, ha mutuato gli strumenti di ingegneria finanziaria adottati dal presidente di Mediobanca Enrico Cuccia”.

GROVIGLIO INESTRICABILE

È ricorrendo a un modello lontano anni luce da quello gelosamente rivendicato da MPS che può essere sciolto il “groviglio armonioso”, con le sue ramificazioni partitiche, religiose e sociali. Ragnatela, ha evidenziato De Mattia, i cui intrecci preannunciavano un disastro di grosse dimensioni. E che era necessario rompere invece di ingigantirla con le spregiudicate operazioni di espansione e fusione con BNL e Antonveneta.

COME APRIRSI AL FUTURO

Ma quale orizzonte è immaginabile per Monte dei Paschi una volta superata la tempesta? Agli occhi di De Mattia oggi è difficile percorrere la strada del “trapianto di public company”, impresa bancaria ad azionariato diffuso tipica di un “capitalismo popolare”. Sventata l’ipotesi nazionalizzazione, egli ritiene possibile aprire l’istituto creditizio alla competizione e all’intervento di investitori istituzionali come BlackRock pur conservando il forte legame con Siena e il territorio. Con la vendita delle ultime quote da parte della fondazione, e con il patto stipulato con Fintech e Btg – ha sottolineato De Mattia, già in Bankitalia – c’è stato un “intelligente salvataggio”.

(TUTTE LE FOTO DI UMBERTO PIZZI)


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