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Nuove speranze per i pazienti affetti da sindrome di Down?

E’ passato un po’ di tempo dal mio ultimo articolo; nel frattempo sono state fatte molte scoperte interessanti discusse ampiamente sui giornali. Con mia sorpresa nessuno però ha preso spunto da un editoriale apparso un mese fa circa su “Science” e dal titolo “Can Down Syndrome Be Treated?” (http://www.sciencemag.org/content/343/6174/964.long) in cui vengono discusse alcune ricerche che promettono di migliorare la condizione dei pazienti affetti dalla sindrome di Down.
Eppure questa sindrome ha un’incidenza altissima (1 su 600 nati). E’ dovuta principalmente alla trisomia del cromosoma 21 il più piccolo dei cromosomi non sessuali umani che contiene 47 milioni di nucleotidi, ovvero 1,5% del DNA delle cellule, e circa 300-400 geni.
Per molto tempo i pazienti Down sono stati oggetto di pesanti discriminazioni. Basta pensare che all’inizio del XX secolo in molti stati oggetto di programmi eugenetici che prevedevano la loro sterilizzazione. Alla fine degli anni 40 si riteneva che la cosa migliore fosse ospedalizzarli fino dalla nascita e questo perché la loro aspettativa di vita all’epoca era di soli 10 anni e i pazienti soffrivano di importanti problemi mentali oltre che fisici.
Oggi, grazie a significativi progressi medici, i pazienti Down possono vivere fino a 60 anni e la loro integrazione nella società ha fatto notevoli passi avanti. Ma questi successi hanno reso ancora più evidenti i problemi relativi ai deficit cognitivi e di memoria.
La comprensione della base genetica di questa sindrome è iniziata nel 1959 con il lavoro di Lejeune, Turpin e Gautier in cui si dimostrava che nelle cellule dei pazienti erano presenti 3 copie del cromosoma 21 (trisomia del 21). La pubblicazione è stata oggetto di una serie di polemiche, che perdurano ancora oggi, relative a chi dei tre autori sia stato il vero artefice della scoperta. Il primo autore del lavoro Jerome Lejeune, fervente cattolico, ha sempre combattuto l’idea di usare la diagnosi prenatale e l’aborto terapeutico come strumento per ridurre il peso psicologico delle famiglie e il costo sociale derivante dalla nascita di bimbi Down.
Per molto tempo si è pensato che fosse impossibile risolvere i problemi cognitivi derivanti dalla trisomia del 21 visto il gran numero di geni coinvolti. Oggi però le cose sembrano cambiare e una serie di studi si propongono di affrontare e potenzialmente risolvere il problema. Alcuni prevedono di sviluppare una terapia genica da applicare sul feto e tesa ad inattivare il cromosoma 21 in più presente nelle cellule. L’approccio è molto stimolante intellettualmente e prevede di utilizzare lo stesso meccanismo che in natura viene fisiologicamente impiegato nelle femmine dei mammiferi per inattivare uno dei 2 cromosomi X. Anche se in futuro questo approccio potrebbe rivelarsi percorribile, è evidente che manca ancora molto per arrivare ad una sua applicazione terapeutica.
Fortunatamente vengono studiate anche strategie meno difficili tese a curare farmacologicamente i difetti mentali dei pazienti. Una di queste prevede di utilizzare un composto sviluppato per trattare il morbo di Alzheimer. Esistono molti punti di contatto tra il ritardo mentale dei pazienti Down e i problemi neurologici che si osservano nei pazienti affetti da morbo di Alzheimer. Ad esempio il 75% degli individui Down intorno ai quarant’anni sviluppano una forma di Alzheimer, probabilmente perché uno dei geni coinvolti in questa malattia neurodegenerativa è presente proprio su cromosoma 21. Il composto utilizzato impiegato è uno zucchero derivato da piante come la palma da cocco ed è in grado di dissolvere le placche che si riscontrano nei cervelli sia dei pazienti Alzheimer che nei pazienti con difetti cognitivi.

Un altro studio, sponsorizzato dalla Hoffmann La Roche (una multinazionale del farmaco), si propone di curare il deficit di memoria tipico dei pazienti Down con una molecola in grado di inibire certi recettori neuronali. Il composto è stato già vagliato in modelli murini della sindrome di Down. Molte ditte si stanno interessando a questo tipo di studi e stanno reclutando pazienti Down per gli studi clinici. Attualmente vengono vagliate 11 molecole che potrebbero essere impiegate in terapia. I più ottimisti pensano che si arriverà alla commercializzazione entro 5 anni, ma è molto probabile che i tempi siano più lunghi. Un problema potenziale di questi approcci è che vengono condotti su individui adulti quando il danno cerebrale è ormai irreversibile.
Esiste una speranza concreta che nel prossimo futuro si riescano a sviluppare strategie terapeutiche in grado di migliorare le capacità cognitive dei pazienti Down. E la promessa è che i risultati delle ricerche in corso possano migliorare la qualità di vita anche di chi ha la sfortuna di ammalarsi di malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer.
Una volta i bambini Down venivano considerati come figli di cui vergognarsi. Oggi, anche grazie alla ricerca di base, stiamo arrivando al punto di immaginare come migliorare non solo la loro aspettativa di vita ma anche la loro capacità intellettiva e di relazione.

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