Una critica radicale all’ideologia dei tagli lineari e ai tetti sulla spesa pubblica per i servizi alla salute e per l’acquisto dei medicinali. La rivendicazione dell’eccellenza di aziende fornitrici costrette a restituire allo Stato i ricavi per la vendita di prodotti medico-clinici acquistati dalle regioni, prima ancora di ricevere i pagamenti dovuti dalla Pa. È lo spirito che ha accompagnato la quinta tappa del tour itinerante “Produzione di Valore” promosso da Farmindustria a Borgo San Michele di Latina.
La cornice del tour
Teatro dell’iniziativa, celebrata in un territorio con uno storico radicamento di aziende chimico-farmaceutiche, è stato lo stabilimento Janssen di proprietà della Johnson&Johnson. La multinazionale ha scelto nel 2012 di raddoppiare i propri investimenti nel nostro paese e nel territorio laziale, con ricadute positive in termini occupazionali, nell’export e nella ricerca. Prova eloquente è il centro produttivo situato nella provincia pontina, che grazie a tecnologie di avanguardia può produrre una vasta gamma di prodotti clinici e medico-elettronici.
Un comparto industriale strategico
Il progetto, giunto al terzo anno di vita, punta a far conoscere l’industria del farmaco nel suo concreto operare. Si tratta di un patrimonio che l’Italia non può perdere nella frontiera della sfida alle malattie cronico-degenerative e della medicina personalizzata. Temi che costituiranno il cuore degli “Stati generali della salute”, in programma l’8 e il 9 aprile al Parco della Musica di Roma.
Il comparto farmaceutico si colloca al primo posto in Italia e al secondo in Europa per competitività, produttività, modernità. Nel terreno delle esportazioni il nostro paese è passato dal 53° posto al mondo nel 1991 al 12° nel 2001 fino al 4° nel 2013. Prestazioni migliori si registrano solo per i prodotti meccanici. Il panorama imprenditoriale comprende 174 fabbriche che coinvolgono 62mila addetti al 90 per cento laureati o diplomati e 6mila lavoratori attivi nella ricerca, il 53 per cento dei quali sono donne. Valori cui si sommano le 60mila persone impegnate nell’indotto: settore fortemente avanzato sul piano tecnologico in grado di produrre 14 miliardi annui di fatturato.
Un’eccellenza mondiale
Nella graduatoria europea per produttività l’industria farmaceutica italiana si attesta al secondo posto alle spalle della Germania. Un ruolo determinato dal fatto che l’81 per cento delle aziende del settore svolge un’attività innovativa, e che 2,4 miliardi di euro sono destinati ogni anno agli investimenti di lungo termine. Il suo contributo al Prodotto interno lordo – pari a 27 miliardi di euro il 72 per cento di quali orientato all’export – è il più alto nel nostro paese e il comparto medico è quello cresciuto di più con tassi superiori al livello medio Ue. Risultati raggiunti grazie alle esportazioni, aumentate negli ultimi 5 anni del 64 per cento – il 14 soltanto nel 2013 – rispetto al +7 per cento della media manifatturiera.
Le lacune più pericolose
Tuttavia si riscontrano segnali di rischio che potrebbero ripercuotersi sull’indotto e sulla ricerca, tallone d’Achille del nostro tessuto produttivo. Negli ultimi anni le aziende farmaceutiche hanno dovuto fronteggiare i tagli lineari effettuati nella spesa sanitaria per risanare il bilancio dello Stato. Riduzioni pari al 36 per cento delle risorse complessive, e che rendono le uscite pubbliche per acquisti di prodotti farmaceutici più basse del 25 per cento rispetto ai principali partner europei.
Non si può andare oltre a giudizio dei partecipanti del convegno. Tutti concordi, a partire dal presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi, nel ritenere illogico rimuovere dal mercato i medicinali più innovativi. Tanto più preziosi nell’ottica dei mutamenti demografici, che richiedono un modello di assistenza capillare, radicato nel territorio, calibrato sulla persona.
Ma i fattori critici toccano voci ulteriori. Il trend occupazionale presenta un calo di 13mila unità dal 2006. Diminuiscono poi gli studi clinici: -21 per cento negli ultimi 4 anni. Gli investimenti in produzione registrano un bilancio negativo dopo un decennio di aumento costante. Fenomeni provocati da un regime fiscale intollerabile, dalla mancanza di certezza giuridica, dalla restrizione del credito, dai tempi infiniti di pagamento da parte della Pa che bloccano risorse per 3,5 miliardi.
La tenacia delle imprese
L’esigenza di colmare ritardi di natura politica è messa in luce dalla vice-presidente di Farmindustria Lucia Aleotti. La quale ricorda che l’industria farmaceutica rappresenta una leva per lo sviluppo e l’emancipazione culturale, promuove relazioni innovative con le organizzazioni dei lavoratori, presenta la più elevata propensione alla ricerca, vanta conti in ordine, produce 4 posti di lavoro nell’indotto per ogni opportunità professionale creata.
È per questa ragione, spiega il presidente dell’Istituto biochimico nazionale Savio Emilio Stefanelli, che le imprese farmaceutiche rifiutano di essere trattate come “il bancomat della sanità”, utile a ripianare il passivo di bilancio accumulato dalle istituzioni politiche. Ed è questa la molla che spinge Luca Russo, direttore dello stabilimento Janssen di Latina, a ricordare come negli ultimi 3 anni l’azienda abbia raddoppiato i volumi di produzione, consolidato la presenza negli Usa e nelle nuove frontiere del farmaco, investito 100 milioni nell’high tech, promosso la proiezione internazionale dal Giappone alla California, progettato una fabbrica in Cina.
Ossigeno per l’Europa
Vi è un ulteriore motivo per eliminare i vincoli alla produttività in un settore ai primi posti per competitività, internazionalizzazione e coinvolgimento di personale altamente qualificato. Andrea Paci, professore di Economia e Gestione delle imprese nell’Università di Firenze, osserva che la realtà industriale farmaceutica è in fase di trasformazione grazie all’emergere di nuovi soggetti provenienti dalle economie emergenti. Aree che entro il 2040 supereranno l’Europa e gli Stati Uniti in termini di produttività, e attrarranno rilevanti investimenti anche in ricerca e sviluppo. Per cui l’Ue difficilmente potrà continuare a produrre il 25 per cento del PIL planetario e a beneficiare del 50 per cento delle spese globali per Welfare.
L’attenzione della politica
Le analisi compiute dai protagonisti dell’industria farmaceutica trovano unanime condivisione negli esponenti politici. Parlamentare del Partito democratico e presidente della Commissione igiene e salute del Senato, Emilia Grazia De Biasi punta il dito contro la filosofia dei tagli lineari: “La spesa e gli investimenti sanitari in Italia sono di 2 punti percentuali inferiori alla media europea. Negli ultimi anni il comparto ha conosciuto una riduzione di risorse per 30 miliardi. E le uscite non hanno mai sconfinato dai limiti fissati”. A suo giudizio è necessaria una destinazione esclusiva alla salute di tutti i risparmi effettuati nel settore farmaceutico. E una riforma del Titolo V capace di promuovere l’uniformità dei servizi nelle differenze legate ai territori.
Più marcata nella volontà di attribuire allo Stato la determinazione del prezzo di farmaci è Laura Bianconi, vice-presidente del Nuovo Centro-destra a Palazzo Madama. La parlamentare apprezza il governo per aver “invertito la tendenza al drenaggio di quattrini del Servizio sanitario nazionale” e per considerare il farmaco una risorsa anziché una spesa. Il problema, precisa, è nei tempi biennali in cui un medicinale innovativo può essere a disposizione dei cittadini.
Le promesse del “governatore”
Governare la spesa sanitaria senza mettere a repentaglio il diritto alla salute è la bussola che il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti si impegna a seguire. Per abbattere i 12 miliardi di debiti dell’amministrazione territoriale verso le aziende fornitrici e ridurre i 250 giorni di ritardo nei pagamenti, il governatore preannuncia l’apertura di un credito regionale di 8,3 miliardi per la restituzione entro 150 giorni dei debiti, che verranno coperti con tagli di enti partecipati. “Realizzare queste misure e portare il disavanzo sanitario sotto controllo – 638 milioni nel 2013 – permetterà di realizzare un regime fiscale favorevole alle imprese”.
Riguardo alle infrastrutture necessarie alle aziende verranno utilizzati i 3,3 miliardi di fondi strutturali europei per banda ultra-larga, treni pendolari, reti di comunicazione. Mentre per la promozione del credito sono stati stanziati 130 milioni messi a disposizione dalla Banca europea per gli investimenti. Ma per vincere la sfida, rimarca il governatore del Lazio, è bene archiviare la lottizzazione partitica nella nomina dei manager delle ASL e orientare le risorse comunitarie verso progetti chiari e semplici.